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La minifabbrica è una linea di produzione che sembra uscita da un gioco di ruolo. È lunga poco più di sette metri e larga poco più di due e ha quattro postazioni di lavoro e una di controllo. Riproduce però fedelmente uno stabilimento in cui alla Lean production sono state aggiunte tecnologie e competenze 4.0. Siamo a dieci chilometri da Vicenza, nell’area industriale diGrisignano di Zocco, nella sede di Considi, partner italiano esclusivo della Toyota Academy.
La minifabbrica, tecnicamente Gear Factory, è la palestra in cui le imprese vengono istruite e addestrate all’innovazione di processo basata sul metodo lean e le tecnologie di Industria 4.0.
La Gear factory ha eliminato i reparti, i carrelli, i movimenti inutili di pezzi. Ha pulito i percorsi e cancellato gli sprechi, ridotto i tempi e annullato gli intervalli, come in una perfetta fabbrica che adotta la Lean o il Wcm (World class manufacturing) o uno degli altri sistemi di razionalizzazione dei processi che discendono dal metodo Toyota. Una fabbrica prototipo funzionale allo scopo di teoria ed esercizio. «Il 70-80% delle imprese italiane – dice il presidente di Considi Fabio Cappellozza, un ingegnere elettronico pacioso e concreto – è ancora organizzato con i reparti e le isole di produzione. Un sistema irrazionale che produce diseconomie».
Lo vediamo nello stanzone antistante alla minifabbrica. I giovani del master in gestione aziendale del Cuoa, la scuola di alta specializzazione di Altavilla Vicentina, sono alle prese con una simulazione di produzione tradizionale. Si sono mossi in uno sciamare confuso, con carrelli che si incrociano e pezzi che mancano, tra reparti e isole di lavoro. Alla fine del percorso stanno facendo i conti delle diseconomie. Oggi hanno perso settemila euro.
Il passaggio alla Lean cancellerà le perdite. Nelle postazioni della linea digitalizzata è iniziata la produzione di motori elettrici. Dalla postazione di coordinamento il caporeparto controlla su un grande schermo il magazzino e la linea. Su un tablet fa l’ordine dei pezzi dal magazzino. Sulla vaschetta che arriva nella postazione 1 c’è un’etichetta con il codice a barre di identificazione. Sul tablet dell’operatore il tempo, trenta secondi, per avviare la prima operazione e un semaforo verde, la segnalazione che la postazione 2 sta aspettando il pezzo. «Le indicazioni – dice Cappellozza – sono molto semplici: il tempo per fare l’operazione; il verde, il giallo e il rosso per la qualità dell’intervento; la situazione della postazione successiva».
Verde. Il pezzo passa alla postazione 2 nei trenta secondi previsti. Via libera allo step successivo. Trenta secondi. Verde, il pezzo scorre. Alla 3 l’operatore ha un problema. Il tempo va oltre i trenta secondi, il semaforo del tablet è rosso. L’operatore chiede l’intervento dal dispositivo. Il caporeparto riceve l’alert sull’orologio. Legge e invia un codice che appare al tablet della postazione. Si apre una schermata che dà due alternative: aprire un Pdf o guardare un video per risolvere il problema. L’operatore apre il Pdf. Deve avvitare meglio. Fatto, si va avanti. «Nelle fabbriche tradizionali – dice Cappellozza – le postazioni sono piene di cartelloni e codici che identificano le operazioni. In uno stabilimento abbiamo tagliato i codici di intervento da tremila a nove, tutti digitalizzati».
La linea va. Terza e quarta postazione senza intoppi. Lavoro finito.L’adesivo della vaschetta finisce su una lavagna fisica. Il flusso continua. Assistiamo al giro della produzione più volte. La postazione con il caporeparto fa gli ordini. Sulla linea arriva la vaschetta con l’adesivo e il codice a barre. Postazione. Tempo. Semaforo verde. Prodotto finito. Adesivo sulla lavagna. Vaschetta con adesivo. Postazione. Semaforo. Prodotto finito. Adesivo sulla lavagna. Al terzo prodotto, il collaudo e l’aggiornamento del grande display luminoso che aggiorna in diretta il lavoro: i tempi, l’indice di produttività della postazione, della linea, del magazzino e dello stabilimento. L’indice Oee, lo standard internazionale per misurare l’efficienza.
«Uno stabilimento che adotta la Lean – dice Cappellozza – può aumentare l’efficienza fino al 50%. Se si aggiunge la digitalizzazione c’è un ulteriore guadagno di margine fino al 30%. I dati sottostanti vengono immagazzinati e incrociati dai manager per le decisioni strategiche».
Cappellozza racconta di un’impresa dell’automotive che ha capito di perdere efficienza con l’aumento dell’umidità nello stabilimento.Problema risolto con un telecomando per aprire i finestroni. Scartata la soluzione standard di incapsulare la linea che sarebbe stata molto più costosa e avrebbe peggiorato la qualità della vita dei lavoratori.
«La digitalizzazione – dice Cappellozza – è il termometro che rileva il dato, fornisce le informazioni e ci consente di indirizzare gli eventi sulla linea di produzione in tempo reale. Prima di Industria 4.0 servivano almeno due giorni per intervenire. Oggi l’intervento è immediato. Non servono investimenti faraonici, va cambiata l’organizzazione e la mentalità. Lo possono fare tutte le imprese con almeno 50 dipendenti e un fatturato intorno ai 15 milioni. Le competenze dei dipendenti possono essere implementate facilmente: sono gli stessi gesti che facciamo tutti i giorni sui nostri smartphone».
*Il Sole 24 Ore, 17 marzo 2018