Il risparmiatore italiano di un certo peso e ricchezza, che decide di espatriare con i propri capitali, ha da sempre una doppia identità. Ma non se ne preoccupa perché quello che conta è la sensazione di aver messo al sicuro i propri soldi. Sensazione non certezza. Comunque pagata a caro prezzo. L’esportatore di capitali riscopre le virtù delle banche svizzere magari dopo essersi avvalso, negli anni recenti, di scudi fiscali e voluntary disclosure. Lugano è tornata di moda. Ma non occorre proprio andarci, basta fare il cosiddetto booking presso la filiale italiana di un istituto svizzero odi altra nazionalità e apprestarsi a pagare, tanto per fare un esempio, a ogni prelievo Bancomat una commissione non lieve. Chi decide di portare i propri soldi all’estero immaginiamo non ami il presidente della Commissione europea, ma non raramente accorre a ingrassare gli istituti lussemburghesi che Jean Claude Juncker difende da una vita. Oppure si rifugia nelle banche austriache anche quando ritiene patriotticamente che l’idea del doppio passaporto ai cittadini dell’Alto Adige, sostenuta dal giovane cancelliere Sebastian Kurz, sia inaccettabile.
Questo flusso di capitali in fuga alimenta banche e promotori esteri ma, nello stesso tempo, consolida peggiori pregiudizi anti italiani. Non ci si può fare nulla. Curiosa però la schizofrenia di chi se ne va e magari ha votato per una forza politica di governo, continua a sostenerla e chatta in Rete sui destini del Paese. 11 rischio di ridenominazione, o più volgarmente di uscita dall’euro, è assai remoto. Sarebbe nullo, e soltanto accademico, se qualche esponente di governo o qualche tecnico (per usare un eufemismo) di area si astenesse di parlare di piano B e rimpiangere inesistenti verdi vallate monetarie del passato. Gli interessi sul debito ai tempi della lira erano più alti di adesso. Punto. 11 governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, non a caso durante la Giornata del Risparmio, lo scorso 31 ottobre, è stato chiaro. «Vanno dissipate — ha detto Visco — le incertezze sulla partecipazione convinta dell’Italia all’Unione europea e alla moneta unica, incertezze che alimentano la volatilità sui mercati finanziari». E sono già costate un sensibile peggioramento del valore di mercato dei titoli di Stato, in totale 85o miliardi direttamente o indirettamente di proprietà delle famiglie italiane.
A fine 2017 l’ammontare di biglietti, monete e depositi a vista negli istituti di credito italiani valeva 842 miliardi. Somma alla quale doveva essere aggiunto il totale di depositi di altra natura (375 miliardi). E ovvio che nell’ipotetica, remota e sciagurata, circostanza di una «ridenominazione», quei risparmi sarebbero colpiti. Nel 1992 il governo Amato introdusse un prelievo straordinario del per mille sui conti correnti. Amaro ricordo di una incursione notturna in banca. Chi ha contratto un mutuo se lo vedrà invece trasformato in lire? Negli anni Novanta circa 800 mila persone accesero mutui in Ecu, l’unità di conto che precedette l’introduzione fisica della moneta unica, e finirono, in seguito alla drammatica svalutazione della lira, per pagare fino al 30% in più. È prevedibile che la nuova valuta si deprezzi subito rispetto all’euro. Improbabile, se non impossibile, che accada il contrario. I nostalgici dei cambi flessibili sono convinti che le svalutazioni competitive facciano bene alle esportazioni. Gli studi dimostrano che l’effetto positivo sulla competitività non dura più di un anno mentre la perdita di valore del Paese — con tutto ciò che ne consegue — è quasi sempre irreversibile. I Paesi con economie forti hanno valute forti.
La nuova lira sarebbe più vicina alla lira turca che al dollaro americano. Certo, Ankara ha la sovranità monetaria. Ma è invidiabile? Gli italiani hanno in essere contratti per mutui, credito al consumo e altri prestiti per 628 miliardi, secondo i dati Banca d’Italia, aggiornati ad agosto 2o18. Di questi 377 per il solo acquisto delle abitazioni. La «ridenominazione» potrebbe essere una catastrofe per milioni di famiglie in difficoltà o sul lastrico se i debiti, come è assolutamente probabile, rimanessero in euro. I prestiti alle imprese non finanziarie sono risultati, sempre nell’agosto scorso, pari a 696 miliardi. Del resto, perché un creditore dovrebbe vedere il proprio capitale in euro svalutato? Perché l’azionista di una banca, il sottoscrittore di un fondo e, in particolare, gli stranieri che hanno investito in Italia, dovrebbero sopportare questo danno? Non è nemmeno immaginabile la coda legale. Ci troveremmo di fronte alla violazione di principi del diritto internazionale. Altri esempi Rimanendo nell’Unione europea, l’Italia dovrebbe affrontare un contenzioso giudiziario che la vedrebbe soccombere. Chi ha investito in prodotti del risparmio gestito, che vale in Italia 2.054 miliardi secondo i dati Assogestioni di fine settembre, potrebbe essere invece, in larga parte protetto da questo rischio. Se l’emittente del fondo o dello strumento finanziario è un soggetto straniero non dovrebbe teoricamente esserci alcun problema. Se quel fondo ha investito in titoli italiani ne subirà le conseguenze sui rendimenti ma il capitale resterà denominato in euro. Nei soli fondi comuni aperti (996,7 miliardi) i175%è detenuto da soggetti stranieri cross border.
Non è sfuggita, nei giorni scorsi, l’uscita perla verità abbastanza maldestra, dell’economista Karsten Wendorff. Il responsabile del dipartimento Finanze pubbliche della Bundesbank ha proposto, in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, una patrimoniale italiana al 20% per ridurre il peso del nostro debito pubblico senza ricorrere ad eventuali aiuti comunitari. Da una patrimoniale non ci si difende portando i soldi all’estero. Lo scambio dei dati sulla ricchezza finanziaria, dopo i recenti accordi che di fatto hanno messo la parola fine al segreto bancario per i non residenti, è ormai capillare. Ed è da escludere la possibilità legale di sottrarsi a forme di imposizione fiscale straordinaria. Certo, si può spostare all’estero la residenza fiscale. Secondo l’articolo 2 del Tuir (Dpr 917/1986) si considerano fiscalmente residenti all’estero le persone che, per la maggior parte dell’anno, cioè per almeno 183 giorni, risultano vivere e lavorare fuori dal Paese. Veramente. Senza sotterfugi. E oggi i controlli sono abbastanza semplici. Nel caso, per esempio, della nota vicenda di Valentino Rossi, nella vertenza con l’Agenzia delle Entrate, bastò dare uno sguardo alla sua polizza di assicurazione. Sulla moto, ovviamente.