Sarà la « più dura e difficile campagna della storia europea», mette in guardia Angela Merkel rivolgendosi ai 621 delegati del congresso del Ppe. È il suo ultimo da leader della Cdu tedesca, ma resta lei la “ madre” spirituale di questa Europa ormai in trincea contro la destra dell’internazionale sovranista che avanza. Alla platea di Helsinki la cancelliera consegna un vero e proprio manifesto politico: «Il nazionalismo porta alla guerra e vogliamo che questo non metta a repentaglio i nostri valori » . Così, il voto di maggio diventa « la sfida contro i vecchi fantasmi del nazionalismo, dovremo dimostrare di aver imparato dagli orrori del XX secolo che solo insieme, in Europa, si è più forti ».
Scende un silenzio glaciale sul centro congressi Messukeskus, stemperato poco dopo solo dalle note dell’Inno alla gioia con cui si chiudono le assise dei Popolari. Del resto quei fantasmi hanno già preso corpo in una proiezione che i delegati si passano di mano in mano e che proietta gli attuali sondaggi sulla composizione del futuro Europarlamento. Con un Ppe che resisterebbe al 25,4 per cento ( e 180 deputati) e con i socialisti scesi al 19,7 (139 deputati) e tutte le sigle al momento frantumate della destra destinate a lievitare anch’esse in un ipotetico 25 (l’Enf di Salvini e Le Pen, l’Efdd del M5S, i conservatori finora alleati coi popolari).
Sommatoria non scontata. In questo clima da ultima spiaggia il congresso evita la svolta a destra che tanti avevano pronosticato, ma elegge il quarantaseienne bavarese Manfred Weber quale Spitzenkandidat per la guida della prossima Commissione. E schiaccia l’occhio all’elettorato più conservatore e a rischio. L’attuale capogruppo Ppe è sostenuto da Orbán e Merkel, dall’austriaco Kurz e Tajani, in un serrate le file generale e sconfigge ( 492 voti contro 127) l’avversario, l’ex premier finlandese Alexander Stubb, che pure in qesti giorni aveva marcato posizioni più nette contro gli avversari, al grido di « mai con Salvini » . Weber tuttavia nel suo discorso non solo non accenna a un’alleanza post elettorale coi sovranisti, ma si allinea subito a Merkel: « Salvini, Le Pen e i polacchi dicono che bisogna essere orgogliosi delle proprie nazioni, che bisogna odiare l’Europa, noi siamo orgogliosi della nostra coesione europea ».
Il leader leghista e vicepremier italiano diventa lo “spettro” evocato in quasi tutti gli interventi sul palco azzurro del congresso. E finisce per aggirarsi anche tra i tavoli della cena tra capi di governo e big del partito di mercoledì sera in una sala off limits del Messukeskus. Nel menù ufficiale Brexit e Balcani, ma in quello ufficioso c’è l’allarme Italia. « Guardate che il mio unico amico a Roma è Silvio Berlusconi » , spiega Viktor Orbán che siede al fianco del presidente Antonio Tajani. « Faccio il duro, è vero — spiega a tavola — ma perché se non lo facessi da me prenderebbero il sopravvento i filo nazisti. Ma io sono e resto popolare con voi » . Non vuole nemici a destra l’ungherese e i populisti, lascia intendere, saranno i suoi avversari. Con buona pace dell’ignaro Salvini. Se è per questo, mentre da Bruxelles l’Ue stronca con le previsioni i numeri della manovra italiana, anche l’altro presunto “ amico”, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, stronca dal palco il governo di Roma: «Se c’è un modus operandi come quello dell’Italia, questo non è corretto per l’Italia ma nemmeno per l’Ue » . Per non dire dei fendenti di Juncker o del capo negoziatore Ue sulla Brexit Barnier, contro « chi vuole demolire l’Europa con la paura e l’inganno populista ». È un coro.
I delegati defluiscono, scende il sipario e Antonio Tajani, ricandidato alla presidenza dell’Europarlamento e qui in rappresentanza di Fi (Berlusconi ha dato forfait), prende atto che ormai «l’Italia è isolata, non ha alleati, nemmeno Orbán o Kurz voterebbero Salvini alla Commissione. Il problema non è Bruxelles: è Roma e la sua manovra » . La campagna « più dura e difficile » è già iniziata.