Stava filando tutto stranamente liscio. Il Tesoro era vicino a un accordo con la Commissione Ue per un bilancio tutt’altro che austero: un deficit poco sotto il 2% del Pil l’anno prossimo. Più di quanto vorrebbe un’applicazione letterale delle regole e abbastanza per non frenare l’economia ora che la ripresa sembra fragile. Poi l’equilibrio è saltato, e non solo sui numeri. Anche i rapporti politici, sostituiti da duelli verbali in realtà iniziati da mesi: Matteo Salvini contro i «burocrati non eletti» (in verità tutti votati dall’europarlamento), o il commissario Ue tedesco Günther Oettinger che sembra invocare una reazione dei mercati che «potrebbe spingere gli elettori a non votare più i populisti». Dopo che il bilancio italiano ha preso forma, il disastro di pubbliche relazioni fra l’Italia e Bruxelles non ha fatto che allargarsi. Il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, costretto correggersi per aver paragonato l’Italia alla Grecia; Salvini che annuncia «una richiesta di danni all’Europa»; il commissario Ue francese Pierre Moscovici certo che «gli italiani hanno scelto un governo xenofobo»; il vicepremier Luigi Di Maio che accusa Bruxelles di fare «terrorismo»; l’ex ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem secondo il quale «le banche italiane collasseranno», incurante che l’Aia in proporzione abbia già dovuto versare tredici volte più di Roma per tenere in piedi il proprio sistema finanziario.
Non c’è dubbio che la manovra dell’Italia violi qualunque regola. Non solo aumenta il deficit affidandosi a previsioni di crescita alle quali nessuno fuori dal governo crede. Ancora meno plausibile è la composizione del bilancio: una valanga di sussidi, in parte compensata da un aumento netto della pressione fiscale sulle imprese. Più denaro a chi non lavora perché stia a casa, contro più tasse su chi produce, è una scelta che minaccia di danneggiare la ripresa molto rapidamente. Gli economisti Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeyer hanno fatto i conti: la contrazione inflitta dalla stretta finanziaria dovuta al crollo dei titoli di Stato peserà più dell’espansione generata dall’aumento di spesa. La prospettiva è di finire con più debito in un’economia ancora più debole. Non occorre dunque essere un commissario Ue per avere dubbi su questo bilancio, né è sbagliato nel merito ciò che dicono gli interlocutori europei.
Il metodo delle critiche di Bruxelles solleva invece domande su cosa ruoti attorno a questa crisi italiana in Europa. La Commissione Ue ha scelto di muoversi con un’aggressività che obbliga a chiedersi quale sia il finale di partita immaginato da un uomo esperto come Juncker. Ha definito la deviazione italiana «senza precedenti» e statisticamente sarà forse così, ma la Francia viaggia da un decennio con deficit più alti mentre Parigi e Berlino nel 2003 fecero saltare il Patto di stabilità. Bruxelles vuole anche accelerare i tempi di una procedura contro Roma in novembre o dicembre, pur consapevole che così sanzionerebbe i saldi del 2017 permettendo a Salvini e Di Maio di sostenere che la condanna arriva per i conti del governo Pd. Anche la minaccia di multe all’Italia suona risibile, dopo che la Commissione Ue ha (correttamente) evitato di applicarne a Francia e Spagna.
Il risultato delle mosse di Bruxelles per ora è stato solo di regalare una cassa di risonanza a Salvini e Di Maio e indebolire i pragmatici nel governo, che cercano di lavorare a un compromesso: dal premier Giuseppe Conte, ai sottosegretari di Palazzo Chigi Stefano Buffagni (M5S) o Giancarlo Giorgetti (Lega).
Tutti in Europa seguono con ansia il caso italiano, ma viene da chiedersi se alcuni vi vedano anche qualche forma di utilità secondaria. Opporsi alle deviazioni di Roma compatta infatti il resto del club e stende una mano di vernice su altre crepe dell’area euro. Sono passate nel silenzio le lettere che la Commissione ha mandato sui conti anche a Francia e Spagna. Soprattutto, l’insurrezione italiana ha tolto dal tavolo ogni minima concessione che Germania, Olanda o Finlandia detestavano dover fare su un’assicurazione comune dei depositi bancari, un fondo di investimenti o un sistema di riassicurazione sulla disoccupazione nell’area euro. Tutto bloccato grazie a Di Maio e Salvini, ai quali andrà la riconoscenza di molti a Berlino. Rimossa anche ogni riflessione sul ruolo da paradisi fiscali dei puristi dei conti di Olanda, Irlanda e del Lussemburgo da cui viene Juncker: secondo le stime di Gabriel Zucman di Berkeley, questi tre Paesi sottraggono 200 miliardi di imponibile al resto d’Europa, ma non ci si pensa più. Il caso Italia è più urgente. Parlarne in modo sprezzante può aiutare il leader austriaco Sebastian Kurz a far dimenticare che governa con il sostegno di un partito cripto-nazista e che lui stesso ne ha permesso le iniziative più offensive: i militari al Brennero, l’idea di dare un passaporto austriaco agli italiani dell’Alto Adige. Niente di meglio che qualche titolo della stampa internazionale su Salvini per evitarne di imbarazzanti sull’Austria.
La lezione è che l’Italia avrebbe tutto l’interesse a giocare il gioco europeo, senza pretese assurde e senza complessi d’inferiorità. Non ai margini, al centro. Ma anche questo, a quanto pare, sarà per un altro giorno.29