«Io non mi vergogno a chiedere scusa: non ce l’abbiamo fatta a mantenere le promesse». Antonio Trevisi, consigliere pugliese 5 Stelle, è uno dei pochi ad ammetterlo. A dire senza giri di parole che non è stato in grado di rispettare gli impegni della campagna elettorale. «Siamo stati ottimisti. Siamo stati ingenui —spiega all’ Huffington Post —. Ieri avevamo le lacrime agli occhi, ma non siamo in malafede». Trevisi si riferisce all’incontro a Palazzo Chigi con il premier, che segna l’ennesimo dietrofront del Movimento: il Tap, l’odiato Trans Adriatic Pipeline con destinazione Melendugno (Lecce) probabilmente si farà. E si farà anche il condono, sia pure limitato, nonostante tutte le rassicurazioni dei vertici. Così come è probabile che si vada avanti con la Tav.
L’elenco delle promesse fatte, e delle conseguenti giravolte, comincia a farsi lungo per i 5 Stelle. Forse non è un caso che ieri Luigi Di Maio abbia voluto rilanciare con evidenza una delle poche battaglie vinte (o quasi, vista la massa di ricorsi in arrivo): quella sui vitalizi. Twittando: «Detto, fatto. Promessa mantenuta. Bye bye vitalizi anche per gli ex senatori. Evviva!». Un modo, racconta in Transatlantico un peone 5 Stelle, per nascondere la sconfitta della manovra: «I vitalizi sono ormai un’arma di distrazione di massa, utile ogni volta che siamo in difficoltà». E la pillola del condono è stata amara da ingoiare. I mugugni non mancano, anche se i 5 Stelle hanno intrapreso un percorso di realismo politico, sia pure occulto, mai dichiarato pubblicamente. E anche se non mancano i risultati da mostrare agli elettori, in attesa di verificarne l’efficacia: dal reddito di cittadinanza all’abolizione delle pensioni d’oro, dallo «spazza corrotti» allo stop alla pubblicità sul gioco d’azzardo.
Il premier Conte si è esibito in un raffinato esercizio lessicale, trasformando il condono in «definizioni agevolate». E ieri Di Maio si è difeso anche sulla sanatoria delle cartelle: «È una rottamazione ter che aiuterà molte imprese in difficoltà». Pazienza se più volte ha ripetuto di non essere «disponibile a nessun condono». Salvini non ha sentito ragioni. E sta passando come una ruspa sulle resistenze M5S sul Tap. «Abbiamo le mani legate» spiega Barbara Lezzi. Nel mirino finisce pure il governatore Michele Emiliano, finora filo M5S, che si infuria: «Sono voltagabbana e in malafede». E chissà come la prenderà Alessandro Di Battista che comiziò perentorio: «Una volta al governo, bloccheremo il Tap in due settimane».
Non è andata così. E potrebbe andare avanti anche la Tav, «opera inutile e vergognosa» (Di Maio, dicembre 2016). Del resto, dall’opposizione è tutto più semplice. Se ne accorse il sindaco di Parma Federico Pizzarotti: arrivato al potere con gli slogan «chiudiamo l’inceneritore», si accorse che non era possibile, causa penali. Fu incenerito dai 5 Stelle, che ora si trovano dall’altra parte della barricata.
E scoprono che non si può fare tutto e subito. Che non si possono «dimezzare gli stipendi ai deputati» «nel primo Consiglio dei ministri». O che, se si poteva, non è stato fatto. Che lo slogan del «mai più premier eletti da nessuno» non regge (salvo riforme costituzionali), vedi alla voce Conte. Che dall’Europa non si può uscire con un referendum (dissolto nei velluti di Palazzo Chigi). E che la decrescita felice di Latouche è destinata a restare confinata nel blog di Grillo, perché prima c’è da far salire il Pil. Quanto alla povertà, pare che non sia bastato un decreto per abolirla davvero.