Quando ha visto che mancavano pochi miliardi per la quadratura del cerchio, Matteo Salvini ha aperto il portafogli del Viminale senza tanti scrupoli. Sulla carta ne è uscito un miliardo e 300 mila euro in tre anni, che il ministro dell’Interno ha dirottato dalla spesa per l’emergenza immigrazione all’assunzione di poliziotti e vigili del fuoco. Niente di meglio, dal punto di vista del leader della Lega, per dare ai propri elettori una soddisfazione doppia: più forze dell’ordine e una botta ulteriore alle politiche di accoglienza.
Con analoga determinazione dal forte retrogusto elettorale, il M5S ha scovato parte delle coperture colpendo le assicurazioni e le banche, da tempo nel mirino. Anche al mondo delle imprese la manovra riserva delusioni e sacrifici portando con sé tensioni e malumori, destinati a esplodere sui territori e in Parlamento.
Come sempre accade la legge di Bilancio ha vincitori e vinti, ma questa del governo gialloverde sposta un volume mai visto prima di risorse, con impatto notevole sulle vite dei cittadini. Di vere nuove tasse non ce ne sono, salvo quelle sulle banche e sulle assicurazioni. Nel governo si litiga da giorni sui tagli ai ministeri, che dovranno limare le spese per 2,5 miliardi. A guardar bene i 15 miliardi di coperture (8 di entrate e 7 di tagli alla spesa), che insieme agli oltre 20 di deficit portano la cifra complessiva della manovra 2019 a circa 36 miliardi, derivano quasi tutte da una riprogrammazione della spesa o da un diverso dislocamento del carico fiscale.
Della tanto sbandierata Flat Tax, uno dei cavalli di battaglia della Lega, non resta granché: 546 i milioni stanziati nel 2019. La nuova «tassa piatta» sulle partite Iva e gli sgravi Ires per le imprese che reinvestono gli utili nell’acquisto di beni strumentali, nelle assunzioni stabili o nel rafforzamento patrimoniale, ad esempio, vengono finanziati dalla cancellazione dell’Aiuto alla crescita delle imprese (Ace) e dell’Iri, la nuova imposta sul reddito degli imprenditori. Si tagliano sgravi fiscali per 5 miliardi, per concederne 2-2,5 di nuovi. In questo caso la platea di chi ci perde e di chi ci guadagna più o meno coincide, anche se quei 2-3 miliardi tagliati alle vecchie agevolazioni confluiranno su altre poste.
In tutti gli altri casi i soldi vengono spostati con operazioni dalla forte caratterizzazione politica. Il reddito di cittadinanza voluto a tutti i costi dai grillini verrà finanziato col taglio dei fondi alla Difesa e, in gran parte, con una pesantissima tosatura delle banche e delle assicurazioni, cioè della «finanza» ritenuta nemica del popolo. In termini di indebitamento netto, cioè di impatto sul deficit, il reddito e le pensioni di cittadinanza costano 6,6 miliardi di euro nel 2019. A pagarli, quasi tutti, saranno proprio le banche e le assicurazioni: tra nuove imposte e revisione delle agevolazioni esistenti vengono tagliati al settore ben quattro miliardi di euro nel 2019. Il fondo di ristoro dei risparmiatori truffati, che viene portato a 1,5 miliardi di euro, verrebbe alimentato in gran parte dall’estinzione di polizze assicurative e conti correnti inattivi da oltre vent’anni, che altrimenti sarebbero stati prima o poi fagocitati dalle banche stesse.
Una «botta» indigeribile per i vertici leghisti, pentiti di aver accettato la linea del M5S sulle banche e preoccupati di aver «calcato un po’ troppo la mano». Anche gli istituti di credito sono in grande agitazione, e paventano possibili contraccolpi per i clienti e sui servizi. Anche quota 100 sulle pensioni, che avrà un impatto sul deficit 2019 di altri 6,6 miliardi, presuppone un forte spostamento di risorse da una platea di beneficiari all’altra. Si tagliano le pensioni più alte, con la sforbiciata sugli assegni di oltre 4.500 euro, per aiutare a finanziare l’integrazione a 780 euro di quelle minime e consentire l’uscita dal lavoro a chi ha 62 anni di età e 38 di contributi. Un’operazione, questa, che sarà coperta anche con il deficit aggiuntivo previsto dalla manovra.
La pace fiscale, infine. Il braccio di ferro tra Lega e M5S, con i grillini apparentemente determinati a stoppare l’ennesimo condono e la Lega che non voleva lasciare fuori nessuno dalla platea dei beneficiari, ed entrambi preoccupati di incrociare il consenso dei rispettivi elettorati, ha prodotto un risultato paradossale. Lo sconto fiscale sulle imposte da pagare, alla fine è riservato ai «veri» evasori e non a quelli per difficoltà. Il saldo e stralcio col pagamento del 20% sulle maggiori imposte non dichiarate premia insomma chi ha nascosto redditi al fisco, ma non fa sconti a chi ha denunciato tutto e non è riuscito a far fronte ai pagamenti. Ma è la Lega ad essersene accorta e a chiedere modifiche, non il M5S che non voleva i condoni.