La domanda sorge spontanea: i robot sostituiranno il lavoro dell’uomo?«Al momento no. Non conosco nessuna azienda italiana che ha investito in innovazione tecnologica che abbia dovuto lasciar a casa qualche dipendente. Oggi l’intelligenza artificiale non è comparabile a quella umana», spiega Annalisa Magone , presidente di Torino Nord Ovest, centro di ricerca su lavoro, impresa e innovazione. Chiamata al posto del segretario generale Fim-Cisl Marco Bentivogli, impossibilitato all’ultimo a partecipare all’incontro di questa mattina, l’esperta in innovazione e comunicazione digitale ha discusso con Elisabetta Soglio, responsabile di «Buone Notizie», nell’ultimo appuntamento del Festival di Informatici Senza Frontiere dal titolo «I Robot e il futuro del lavoro».
Qualche giorno fa è uscito il suo ultimo libro «Il lavoro che serve. Persone nell’industria 4.0», un’indagine socio-economica attraverso diverse realtà imprenditoriali del nostro Paese. Cos’ha scoperto? «Ci siamo concentrati su aziende intermedie del Made in Italy, dai 100 ai 700 dipendenti, che, investendo in innovazione tecnologica, sono riuscite a crescere. Un viaggio dall’Alto-Adige a Salerno tra mobilifici artigianali, aziende agro-alimentari, della grande automazione e del design, alla scoperta di chi ha saputo reinterpretare a proprio favore l’avvento dell’industria 4.0. Solo un dato. L’ultimo rapporto Istat su competitività e innovazione ha dimostrato che le aziende che hanno puntato su processi innovativi, coniugandoli alla tradizionalità, alla propria storia aziendale e al legame con il territorio, sono cresciute, arrivando anche a raddoppiare il numero dei propri addetti».
È infondata, quindi, la paura che i robot ci rubino il lavoro? «Al momento non è ancora accaduto. Vero è che il personale umano a scarso valore aggiunto – ce lo insegna la storia – è stato spesso sostituito dalle macchine tecnologie. È nell’ordine naturale delle cose. I robot non sono una novità. La novità sarà interfacciare i lavoratori con le tecnologie 4.0. Ma i robot non toglieranno il lavoro, semmai offriranno nuove opportunità. Non si è ancora registrato un caso in cui un’azienda che sta bene e che s’innova sia stata costretta a lasciare a casa qualcuno. È una questione di mentalità e di disponibilità da parte dei dipendenti di non spegnersi in attesa di raggiungere la pensione, ma di essere creativi e aver sempre voglia di crescere».
Non bisogna avere paura di quello che verrà. È questo il messaggio che si sente di dare? «Questo libro infonde positività. È legittimo avere dei dubbi. Ma buttarsi la cenere addosso, in attesa che il governo approvi il reddito di cittadinanza (sorride, ndr ), non serve a nulla. In giro per l’Italia ci sono tanti esempi positivi. Il prossimo passo da fare, anche se in Italia si fa ancora molta fatica a capirlo, è quello di passare dal singolo caso ad un ecosistema. Questi fenomeni, infatti, non si governano o realizzano grazie ad un singolo imprenditore. Serve un’ottica di filiera. L’innovazione tecnologica 4.0, con i suoi linguaggi e la sua cultura, deve mettere in discussione non solo il prodotto finale, ma anche un nuovo modo di lavorare. Il rischio, altrimenti, è quello di avere poche aziende leader e una pletora di altre imprese più piccole che lavorano per loro. In un mondo globalizzato e sempre più veloce, chi resta indietro dal punto di vista dello sviluppo digitale difficilmente poi riuscirà a recuperare».
È un tema che ha trovato l’attenzione del mondo sindacale? «In parte sì. Quest’ultimo libro è stato costruito assieme alla Fim e ad altre organizzazioni. C’è una grande sensibilità verso questo fenomeno e la voglia di capire il più possibile come affrontarlo. Non ci può sedere ai tavoli di crisi se nessuno sa come interpretare l’adeguamento tecnologico. La partita è aperta».
In Trentino come siamo messi? «È una terra che guarda avanti. Ci sono molte medio-piccole imprese straordinarie. Ho sentito parlare anche di Progetto Manifattura e del Polo della Meccatronica di Rovereto, incubatori di aziende “green” all’avanguardia. Mi piacerebbe visitarli».
*L’Adige, 14 ottobre 2018