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Di scosse di preavviso ce ne sono state molte, ma il vero terremoto, quello che ha svegliato anche i pochi che in Europa ancora dormivano, sono stati la Brexit prima e la vittoria di Trump negli Stati Uniti poi. Quali scenari e quali sfide attendono adesso, nell’era del post cataclisma, il vecchio Continente? Ne ha parlato con Democratica Marc Lazar, francese, sociologo e storico della politica, docente a Sciences Po di Parigi e alla Luiss-Guido Carli di Roma.
Professor Lazar, al convegno annuale della Società italiana di Scienze politiche lei ha suggerito di guardare ai mutamenti in atto in Italia e in Francia come possibile proiezione del futuro della democrazia in Europa, ci può spiegare meglio?
Ho proposto i due casi di Italia e Francia per riflettere sui mutamenti in atto nelle democrazie contemporanee. Italia e Francia sono per molte ragioni due Paesi storicamente incomparabili, ma la mia tesi è invece che, malgrado le differenze, tra i nostri due Paesi vi sono sempre più convergenze e sfide in comune, a partire da tre riflessioni: il ruolo dei partiti e delle leadership, la presenza dei populisti, la possibile evoluzione della democrazia.
Quali sono i tratti simili che vede nell’evoluzione delle nostre due democrazie?
Dalle democrazie parlamentari dell”800 siamo passati alla democrazia dei Parlamenti e dei partiti nel XX secolo fino alla democrazia del pubblico, con il predominio del mezzo televisivo, della fine del XX ‘900. Oggi stiamo forse entrando in quella che con Ilvo Diamanti abbiamo definito ‘popolocrazia’, ossia una democrazia in cui vengono meno le forme intermedie di rappresentanza in favore del predominio del ‘popolo’, soprattutto attraverso una rivoluzione tecnologica di cui forse non abbiamo ancora compreso appieno le conseguenze. E’ così che si spiegano i successi, anche se relativi, dei movimenti populisti.
Nel frattempo l’indice di popolarità di Macron è crollato. Come spiega questo calo così repentino?
Bisogna ricordare che al primo turno delle presidenziali un francese su due ha votato per altri candidati, da Fillon a Le Pen, e il tipo di sociologia dell’elettorato di Macron indica che non è stato votato dai ceti popolari. In un primo momento ha suscitato speranza, ma rapidamente si sono aggregati tutti i suoi oppositori, tra i quali c’è chi nutre verso di lui un vero e proprio odio per tutto ciò che rappresenta. A questo, va aggiunto che i suoi elettori di sinistra hanno trovato alcuni suoi provvedimenti troppo di destra, e al contrario gli elettori di destra giudicano troppo di sinistra provvedimenti come quello, ad esempio, sulla procreazione medicalmente assistita. Gli errori di comunicazione di questa estate hanno fatto il resto. La sua grande chance è però che a parte La France insoumise di Mélenchon non ha vere opposizioni.
A proposito di destra e sinistra, lei in passato le ha definite categorie superate a favore della più attuale contrapposizione tra europeisti e anti-europeisti, è ancora così?
L’opposizione tra destra e sinistra non è scomparsa, restano ovviamente tracce di queste due grandi culture politiche. Ma c’è un’altra frattura più importante tra chi è a favore di un’Europa aperta e chi vuole invece un’Europa chiusa, con un ritorno alle sovranità nazionali. Una divisione che mescola tutto e che rende la politica molto più complessa, perché sia a destra che a sinistra vivono entrambe le posizioni e questo si vede benissimo in Italia, basti pensare a Salvini e Berlusconi nel centrodestra. Positivo è il fatto che Macron abbia vinto con una campagna fortemente europeista.
E’ una frattura che prima o poi vedremo sanata?
Resisterà ancora per lungo tempo e molto dipenderà dalle risposte che sapranno dare gli europeisti, dalla capacità di spiegare che l’Europa è un vantaggio per tutti. Bisogna ricostruire una narrazione positiva, contro l’euroscetticismo bisogna dimostrare soprattutto ai ceti popolari e ai giovani senza lavoro che l’Europa può fare qualcosa per loro. Se non si riuscirà a fare questo alle prossime elezioni europee i populisti avranno la meglio.
Dunque c’è ancora margine per fermare l’ondata populista, in altre parole la ‘popolocrazia’?
Certamente sì, Macron ad esempio ha vinto con argomenti totalmente antipopulisti ma a volte con un stile un po’ populista. I tratti comuni dei populismi di destra e di sinistra sono la contrapposizione ‘popolo’ contro una orribile casta, l’idea che non esistono problemi complessi ma solo soluzioni semplici, la dicotomia secca buono-cattivo. Per battere questa narrazione semplicistica è necessario predisporre politiche pubbliche convincenti e soprattutto rispondere alle angosce che attraversano le nostre società, ad esempio predisponendo soluzioni per vincere sfide come quella dell’integrazione.
*Democratica, 18 settembre 2017