La riunione con presidenti e amministratori delegati delle aziende pubbliche convocata dal governo gialloverde mercoledì a Roma ha evocato nei meno giovani il ricordo della stagione dell’Intersind. L’organizzazione era nata nel 1958, iniziò a funzionare qualche anno dopo e aveva lo scopo di rappresentare sindacalmente le aziende a partecipazione statale (Iri e Efim) in una stagione che preparava il centro-sinistra e nella quale la valenza delle relazioni industriali era molto forte. Di conseguenza scindere le aziende pubbliche dalla Confindustria era un’operazione di tipo strategico. L’egemonia culturale allora era in mano alla Cisl che attraverso la nascita dell’Intersind e l’appoggio al ministro Giorgio Bo mirava a spostare a sinistra l’azione del governo e a dare spazio alla contrattazione articolata.
In realtà il doppio canale di relazioni industriali non diede vita a esempi sempre virtuosi, la politicizzazione estrema delle scelte aziendali aprì la strada a privilegi, inefficienze e contraddizioni con la logica di mercato. Oggi gli obiettivi del governo sembrano più limitati e comunque condizionati dall’emergenza, il ricorso alle aziende pubbliche serve a dare ossigeno in termine di investimenti e magari occupazione ma segna come allora la volontà di isolare e marginalizzare la Confindustria. La vita dell’Intersind durò fino al 1994, il sistema delle partecipazioni statali era al termine, partiva la stagione delle privatizzazioni e la tutela sindacale delle imprese pubbliche tornò ai privati allora guidati da Giorgio Fossa con la regia di Romano Prodi, allora presidente dell’Iri. Ma il segnale di questi giorni non va sottovalutato, come alla fine degli anni ‘50 l’Intersind si abbinò de facto al varo del ministero delle partecipazioni statali oggi potremmo vedere il bis con la Cdp in veste di nuova Iri. Soprattutto in casa dei 5 Stelle non manca chi lavora in questo senso e spera persino di creare una scuola di manager pubblici.