La situazione è quella descritta ieri dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Stefano Buffagni a un incontro di Conftrasporto: «Siamo all’uno per cento dalla Grecia e questo non può far piacere», ha detto l’esponente M5S. Ancora meno piacere fa se in cinque mesi fatti di annunci e smentite a favore o contro l’euro, scambi di insulti con Bruxelles, frenate e accelerazioni sul deficit, questa distanza con Atene si è più che dimezzata. Era ampia, rispetto al solo Paese in default dell’area euro. Ora è così ridotta che i due, visti dai mercati, sono molto più vicini di quanto l’Italia sia a qualunque altro Paese europeo.
All’inizio di maggio la differenza fra i rendimenti dei titoli di Stato a dieci anni italiani e greci era di 226 punti, ieri sera era di poco più di cento: un punto percentuale, appunto. Nel frattempo il ritardo dell’Italia nei confronti del resto dell’area euro non ha fatto che crescere. Il tre maggio, prima che Lega e M5S si mettessero al lavoro insieme per formare il governo, il titolo decennale italiano rendeva più o meno come quello portoghese. Da allora il ritardo è diventato una voragine di 164 punti, superiore a quello che l’Italia aveva sulla Germania alla vigilia del primo di contratto di governo giallo-verde.
Il confronto con la Spagna è anche più impietoso. Oggi la distanza fra i titoli decennali di Roma e Madrid è superiore ai duecento punti, una soglia che durante la crisi di debito del 2011 venne considerata di guardia quando l’Italia la superò rispetto alla Germania. Non sembrava possibile allora che si consumasse un divorzio tanto radicale nelle percezioni di affidabilità delle due grandi economie del fianco Sud dell’euro. Ancora a maggio scorso del resto questo scarto era quattro volte più piccolo.
In sostanza l’Italia è rimasta sola. Si avverte allarme e qualche sospetto nel resto d’Europa riguardo alla direzione del Paese, ma non c’è quasi contagio. Per la prima volta in una fase di instabilità negli ultimi trent’anni, essa è solo italiana. Altri Paesi di recente travolti dalla crisi come la Spagna e il Portogallo non sono sfiorati perché le cause non sono sistemiche e europee – secondo gli investitori – ma specifiche e generate a Roma. Sul piano pratico questo significa che non sarà la Banca centrale europea a sedare le tensioni, come aveva fatto in passato: la Bce ha titolo a muoversi per tutelare la stabilità finanziaria dell’area euro nel complesso, non quella di un singolo governo che ha infranto il suo rapporto di fiducia con i propri creditori.
Sul piano finanziario, l’assenza di contagio ai Paesi più vulnerabili segnala che i mercati per adesso non pensano che l’Italia stia per fare secessione dall’area euro e che quest’ultima rischi di diventare più fragile per questo. Fra marzo e giugno 2015, per il timore che il governo populista di Alexis Tsipras facesse precipitare la Grecia fuori dall’euro, il premio di rischio a dieci anni dei titoli italiani quasi raddoppiò. In questi mesi invece nulla del genere accade fra i vicini dell’Italia: il mercato per ora teme quella che considera come la confusione strategica del governo, più che una linea di consapevole divorzio dall’euro.
Sul piano politico questa specificità — solo l’Italia è in tensione — obbliga però tutti a interrogarsi sulle cause. La liquidità sul mercato non è sparita come avvenne il 29 maggio scorso, il giorno del crash alla vigilia dell’incarico di governo. Eppure il premio di rischio espresso nei rendimenti ha superato, per certi titoli, anche quelli di quel giorno. In parte è l’attesa sul mercato per un declassamento da parte di un’agenzia di rating della valutazione sul debito, che porti la carta italiana alla soglia dei titoli speculativi («spazzatura»).
In parte però è la perdita di punti di riferimento. Tutti hanno visto che Giovanni Tria, ministro dell’Economia, non ha la forza di far passare le sue scelte. Ne ha invece Matteo Salvini, vicepremier della Lega. Il quale però è passato in un mese dall’affermare che controlla i prezzi dei titoli italiani come prima preoccupazione al mattino, al dire che se ne disinteressa; dall’impegno sull’euro al dire che «nulla è irreversibile». Il mercato non vede figure credibili e diffida. Così avanza una stretta al credito bancario dovuta al crollo dei titoli di Stato: l’austerità, l’Italia se la sta facendo da sola.