Se c’è un nome al sentir pronunciare il quale l’Italia non può certo andare fiera, è quello di Elsa Fornero. Non per il profilo professionale impeccabile di questa economista piemontese, per quello che ha fatto come ministro del Lavoro del governo di Mario Monti, né per l’etica della responsabilità economica ciò che sostiene da sempre. Piuttosto, l’Italia non può andare fiera di ciò che è accaduto al nome e alla persona di Elsa Fornero dal 2013 in poi. È diventata oggetto di odio da social network, bersaglio quotidiano di insulti e insinuazioni infondate, sinonimo di prepotenza e perfidia; lei stessa per anni ha dovuto farsi accompagnare da una scorta, solo per aver messo la sua firma su una riforma del sistema pensionistico senza la quale molto probabilmente l’Italia sarebbe finita in default.
Colpevole di aver preso sul serio il suo compito — stabilizzare il sistema, riportare un po’ di equità fra le generazioni — Elsa Fornero è diventata così suo malgrado l’emblema di un’Italia che si polarizza. Un Paese nel quale la discussione fra punti di vista diversi perde il sostrato del rispetto fra le parti per nutrirsi di sarcasmo e falsificazioni. A causa della riforma delle pensioni che porta il suo nome, Elsa Fornero è stata il simbolo di questa trasformazione in peggio della società italiana e ha sempre sopportato questo peso senza parlarne. Non ne parla molto in verità nemmeno adesso che è uscita con un libro al quale ha lavorato a lungo: Chi ha paura delle riforme. Illusioni, luoghi comuni e verità sulle pensioni (Università Bocconi Editore). Non ne parla molto neanche nel suo saggio, ma un po’ lo fa quando descrive la sua esperienza condotta «rispondendo non agli interessi di qualche governo straniero o di qualche partito, sindacato o gruppo di potere più o meno trasparente, ma al mio senso del dovere nei confronti del mio Paese e alla mia interpretazione dei suoi bisogni».
Fornero non dice molto di più per spiegare se stessa, perché non è ciò che le preme di più. Ora che sembra che la sua riforma si avvii ad essere in parte smantellata, le interessa soprattutto spiegare la sostanza: perché non esistono scorciatoie verso la prosperità, perché un sistema di welfare sano va mantenuto in equilibrio e perché non è vero che si crea più lavoro per i giovani se si mandano i meno giovani in pensione prima. Lo fa con una dose di umiltà che non le viene mai accreditata. Scrive: «La Grande Recessione ha dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che gli economisti non possiedono `la verità’ ma, come gli altri scienziati sociali, dispongono degli strumenti per andare nella direzione giusta». O almeno, forse, per evitare il più spesso possibile quella sbagliata. Uno degli errori più frequenti per esempio è che esista in un’economia una quantità fissa di posti di lavoro e si tratti solo di distribuirli al meglio tra giovani e anziani.
È l’idea che ispirala contro-riforma della Fornero avanzata dal governo attuale, ma per l’ex ministro rischia di non funzionare: «Le statistiche Ocse e Eurostat — osserva Elsa Fornero — mostrano chiaramente che i Paesi nei quali il tasso di attività degli anziani è più alto, e pertanto l’età media di pensionamento è più elevata, sono anche quelli con il tasso più alto di occupazione dei giovani e delle donne». In altri termini non è vero che bisogna far uscire prima i più anziani dal mondo del lavoro, per fare entrare i più giovani come non si stanca di ripetere il vicepremier Matteo Salvini. Al contrario si creano più posti di lavoro, anche per i giovani, in un’economia più dinamica e non in una gravata dai costi di pensionamento di persone che sarebbero ancora in età produttiva. Si tratta di un concetto apparentemente semplice, che l’ex ministro spiega chiaramente nel suo saggio, eppure nessuno dei politici di opposizione ha avuto la forza di ricordarlo in questi mesi. Così come evidente, ma non troppo spesso ricordata, è l’altra verità di base che Fornero richiama nel suo libro: «E’ ancora radicata la convinzione che la pensione sia un diritto acquisito, indipendentemente da chi ne sostiene il costo, e non già il frutto del lavoro e del risparmio dei cittadini». Invece non è così, aggiunge l’ex ministro: «I cittadini possono non rendersi conto che, se non pagano il conto oggi, loro stessi e i loro figli finiranno per pagarlo maggiorato in futuro».