Sale ai massimi livelli la tensione sui titoli di Stato all’indomani della decisione del governo di fissare al 2,4% il rapporto deficit-Pil nella nota di aggiornamento al Def. Le indiscrezioni in questo senso erano già circolate giovedì provocando forte volatilità sui BTp ma fino all’ultimo si è sperato in un compromesso tra l’asse Salvini-Di Maio e il ministro Tria. Il compromesso non c’è stato e ieri è scattata una pesantissima ondata di vendite su Borsa e titoli di Stato.
In apertura di seduta i rendimenti dei governativi hanno registrato rialzi tra i 20 e i 30 punti base su tutta la curva che sono andati intensificandosi con il passare delle ore con variazioni superiori ai 40 punti. Il tasso del BTp a 10 anni nei momenti di massima tensione ha superato quota 3,25 per cento. Oltre i picchi toccati a maggio e giugno e sui massimi da maggio 2014. Lo spread tra i BTp e i Bund ha superato quota 280 punti per poi chiudere a 267 punti. Fortissime tensioni si sono viste poi sulla parte breve della curva dei rendimenti. Il tasso del BTp a due anni è balzato oltre l’1,2% dallo 0,8% della chiusura della vigilia.
Le oscillazioni dello spread hanno avuto ripercussioni in Borsa con ribassi consistenti per banche e assicurazioni, penalizzate per via della loro forte esposizione in BTp. L’indice Ftse Italia Banche ha chiuso gli scambi con una flessione del 7,26% che, visto il peso storicamente preponderante sul listino del settore, ha influito in maniera determinante sul saldo finale di Piazza Affari che ha chiuso in calo del 3,72 per cento. L’impatto complessivo è stato rilevante: in una seduta sono andati in fumo oltre 22 miliardi di euro di capitalizzazione.
«La lezione che gli investitori hanno tratto da tutta questa vicenda è che le parole di Salvini e Di Maio contano di più di quelle del ministro del Tesoro Tria» commenta James Athey, senior investment manager di Aberdeen Standard Investments secondo cui gli ultimi sviluppi hanno messo l’economista romano in una «posizione impossibile». La stima sul deficit al 2,4% è una doccia fredda per molti investitori, tra cui i colossi Usa Blackrock e Fidelity, che erano tornati a comprare BTp sulla scommessa di una manovra «prudente» in linea con le indicazioni del ministro del Tesoro che, a conti fatti, ne esce come il grande sconfitto in questa partita. Chi paventava le sue dimissioni è tuttavia stato smentito dai fatti, perché Tria non si è dimesso. Anche per le richieste in questo senso del Capo dello Stato Sergio Mattarella. «Se all’annuncio del deficit si fosse sommato quello delle dimissioni di Tria l’impatto sarebbe stato ben peggiore – commenta Mattia Nocera di Belgrave Capital Management (gruppo Banca del Ceresio) – ma non mi aspetto che Tria possa restare al suo posto ancora a lungo». I dettagli della legge di bilancio secondo il gestore saranno cruciali per farsi un’idea più precisa della politica economica del nuovo governo ma le indicazioni non lasciano intendere nulla di buono. «Fare deficit – spiega – non è necessariamente una cosa negativa ma bisogna vedere come queste risorse vengono impiegate. Un conto è fare investimenti infrastrutturali che stimolano la crescita, un altro è aumentare la spesa pubblica improduttiva con il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni».
Il “panic-selling” visto ieri sui governativi italiani segnala un brusco cambio di rotta nella percezione del rischio Italia. Gli investitori paventano uno scontro con la Commissione europea e soprattutto un declassamento del rating. A fine ottobre si pronunceranno sia Standard & Poor’s sia Moody’s. «Una bocciatura è scontata – conferma Athey – resta da vedere quanto sarà pesante. Se oltre a tagliare il rating Moody’s rivede al ribasso dell’outlook si rischia una nuova fuga di capitali dall’Italia. Ci sono molti fondi che per statuto possono detenere solo bond sopra una determinata soglia di rating e che non aspetteranno la bocciatura a “junk” per disfarsi dei BTp che hanno in portafoglio».