Si scioglie il patto Mediobanca e il pensiero corre immediatamente a Generali.Piazzetta Cuccia è lo snodo chiave che porta a Trieste e in quanto tale è anche il custode degli equilibri interni al Leone. Equilibri che, già prima del ribaltone nell’assetto della banca, erano sotto scacco in vista di due appuntamenti cruciali: il piano industriale che la compagnia renderà noto a novembre e il prossimo rinnovo del consiglio di amministrazione. Due tematiche centrali che ora si vanno a incrociare con quelli che potrebbero essere i cambiamenti a livello di compagine azionaria. Perché sono in molti a credere che questa fase di incertezza scatenata dalla decisione lampo di Vincent Bolloré possa incidere sulle gerarchie di Trieste.
I soci
Di certo appare improbabile che Mediobanca, sebbene abbia manifestato da tempo l’intenzione di cedere il 3% della compagnia, proceda con la valorizzazione della quota nei prossimi mesi. È più verosimile che valuti l’opzione a valle dell’assemblea che nominerà il nuovo board. Allo stesso modo, non pare plausibile che l’istituto valuti un’attribuzione delle azioni Generali direttamente ai propri azionisti. Anche se sono in molti a credere che il tema del controllo sul Leone, come preservarlo o come promuoverlo, sarà in primo piano nel dibattito tra i soci della banca, UniCredit in testa. In scia a queste dinamiche è possibile che si formi una sorta di “cordata tricolore” che saldi la presa su Trieste. Magari guidata da Francesco Gaetano Caltagirone. L’imprenditore romano è in predicato di arrotondare ulteriormente la quota fino ad arrivare al 5%, e potrebbe farlo a stretto giro magari sfruttando la potenziale debolezza del titolo se l’Italia si troverà nuovamente nella bufera. Sullo stesso asse ci sono poi i Benetton. In questa fase la famiglia di Ponzano Veneto, stante il tema Atlantia, ha altre priorità ma l’interesse per le Generali è fermo. Tanto più in vista del nuovo piano industriale.
Il business plan
La nuove linee guida per ora sono state presentate ai componenti del consiglio durante un lungo incontro tenutosi il luglio scorso. Quel primo vertice ha soddisfatto solo parzialmente uno dei soci forti, Caltagirone. In quella sede non è stato fornito alcun numero ma sono state tracciate, piuttosto, le possibili direttrici di sviluppo. C’è naturalmente attesa per quello che sarà l’elemento chiave del progetto industriale, ossia le cifre messe nero su bianco. Intanto, però, gli animi si sono accesi. E l’incertezza venutasi a creare in Mediobanca di certo non aiuterà a stemperare i toni. Molto dipenderà da quali saranno le decisioni finali che verranno assunte dal management in tema di ripartizione delle risorse. È naturale immaginare che i denari in cassa verranno impiegati in primo luogo per dare impulso agli investimenti in innovazione, quindi per dare soddisfazione ai soci con dividendi rotondi e in terzo lugo quel che rimane potrà essere dirottato in parte sulla riduzione del debito, il mercato lo chiede da tempo, e in parte per la crescita attraverso M&A, se si presenteranno le occasioni giuste. In proposito le priorità saranno certamente l’asset management, che resterà come tassello cruciale dello sviluppo futuro, quindi in seconda battuta il settore danni. Il ceo Philippe Donnet ovviamente è impegnato da tempo sul progetto ed è ovvio che il suo futuro sia legato a doppio filo con il business plan che, tolte alcune ritrosie, pare aver riscontrato i favori del board. Fondamentale sarà anche la risposta del mercato nei prossimi mesi. Anche perché, come detto, l’intero consiglio di amministrazione è in scadenza e anche su questo aspetto il confronto fra gli azionisti sarà serrato.
La governance
Oltre alla questione del ceo, sul tavolo c’è anche il tema del presidente. Se Donnet in questa fase pare raccogliere più consensi che opposizioni, il numero uno invece è una casella da riempire. L’attuale presidente Gabriele Galateri di Genola è in scadenza di mandato e non potrà essere confermato per raggiunti limiti di età. Si è ragionato sull’ipotesi di modificare lo statuto per mantenere Galateri al vertice ma l’idea pare essere stata accantonata. naturale quindi che siano state avviate le prime riflessioni sul nuovo presidente. Di certo dovrà avere un’età per cui poter garantire almeno tre mandati consecutivi alla guida, in modo da rappresentare un segnale di continuità anche in caso di cambiamenti nella compagine azionaria. Dovrà poi avere il gradimento della “cordata tricolore” e in questo senso sarebbero due i nomi che allo stato avrebbero incontrato maggior favore: Giuseppe Recchi e Massimo Tononi. Il secondo è già numero uno di Cdp, un ostacolo che potrebbe essere superato solo in caso di dimissioni dall’incarico. Eppure Tononi, per tante ragioni, sembrerebbe incarnare il profilo ideale per raccogliere il testimone da Galateri.