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Il successo elettorale dei Cinque Stelle e della Lega non preoccupa più di tanto chi, come Elena Cattaneo, negli ultimi anni ha visto in prima persona quanto sia complicato il rapporto tra scienza e politica. Il punto, secondo la ricercatrice e senatrice a vita, è che il lavoro da fare è talmente grande e importante che sarebbe riduttivo farlo dipendere da questa o quella maggioranza di governo. “Serve un altro livello di pensiero, oltre al quotidiano, che è la visione a lungo termine. Serve una strategia per il Paese a 10-20 anni che dovrebbe prescindere dai cambi di governo”.
Incontriamo Elena Cattaneo all’Accademia dei Lincei, dove ha appena tenuto una conferenza dal titolo “Scienza e politica: dal dialogo all’integrazione possibile”, parte di un ciclo di lectures affidate a cinque donne che stanno contribuendo allo sviluppo umano con il loro impegno nel campo della scienza e della politica.
Dove sono finite la scienza e la ricerca in campagna elettorale? Chi le ha viste?
“Non si è parlato mai né di scienza né di ricerca, non sembrano essere parole nella testa del Paese. La domanda è: della scienza importa qualcosa a qualcuno in questo Paese? Se andiamo a vedere i programmi elettorali, c’erano coalizioni in cui la parola ricerca non compariva affatto o addirittura figurava con voci contrarie. Non penso che la scienza sia la panacea di tutti i mali, ma dobbiamo ribadire che una solida cultura scientifica tende a evitare e risolvere i conflitti, tende a consigliare approcci pragmatici e non ideologici nell’affrontare le questioni”.
Perché è così difficile per la politica capire che dalla scienza può derivare ricchezza, non solo culturale, ma anche economica?
“La percezione è che la scienza non serva alla sopravvivenza di una politica che è fatta di azioni quotidiane, ricerca del consenso, confronto pubblico e conflitto elettorale. Come parola chiave la scienza non riesce a entrare perché si avrebbe bisogno di un altro livello di pensiero, oltre al quotidiano, che è la visione a lungo termine. Ci deve essere una strategia per il Paese, che significa decidere oggi dove vorremmo essere tra vent’anni. Nel momento in cui si stabiliscono degli obiettivi, servono delle procedure e delle regole per raggiungerli, per impedire i deragliamenti”.
Di deragliamenti, anche negli ultimi anni, ne abbiamo avuti parecchi…
“Gli esempi per me più lampanti, anche se diversi, sono il caso Stamina e il finanziamento arbitrario di Human Technopole. Nel primo caso, per inseguire il consenso e non passare per il partito che non voleva curare i bambini, la politica italiana ha scelto deliberatamente di sbagliare: le regole e le competenze per capire c’erano, non eravamo talmente allo sbaraglio da essere così esposti al ciarlatano di turno. Se ci ricordiamo esisteva un decreto (Turco-Fazio del 2006) la cui semplice adozione avrebbe impedito all’ospedale di Brescia e al Parlamento di andare nelle direzioni in cui si è andati. Già da li si capiva che non c’era storia, che Stamina non poteva essere un trattamento compassionevole perché non rispondeva neanche ai requisiti di questo decreto che pure aveva molte lacune. Non solo avevamo una legge, ma c’erano anche le prove: l’Aifa aveva già emesso un’ordinanza di blocco, ma è stata disattesa. Senza dimenticare che l’Italia è un faro nel mondo per le terapie staminali: possibile che a nessun parlamentare fosse venuto in mente di sentire uno di questi luminari? Poi c’è stata un’indagine conoscitiva in Senato e un’ammissione di colpa, ma questo per me resta un esempio molto forte di cosa vuol dire una decisione sbagliata”.
L’altro esempio è Human Technopole, che lei ha criticato in varie occasioni.
“Per me, è un altro esempio di decisione aberrante per come è nata. È mancato completamente il principio di moralità, vale a dire l’uso corretto, produttivo e verificabile dei fondi pubblici che impone la possibilità un’apertura a tutta Italia. Qual è il beneficio per il cittadino nel procedere verso questa assegnazione arbitraria? In assenza di un bando competitivo, non sapremo mai se ci sarebbe potuta essere un’idea migliore. Così è stato un gesto d’imperio, dall’oggi al domani. Se si mettono lì 100 milioni ogni anno al resto del Paese non resta più niente”.
Perché è così difficile nel nostro Paese tenere dritta la barra? Cosa manca?
“Non c’è una catena di trasmissione che consenta di utilizzare l’innovazione per produrre un mercato. Manca una certa qualità nelle istituzioni scientifiche, nella loro capacità di trasmettere e innovare. Manca una struttura che permetta alle nostre idee di emergere. Questi elementi sono abbandonati alla fortuna o alle occasioni casuali di generare valore”.
Da dove si comincia?
“È necessario creare degli strumenti che accompagnino e aiutino la politica nel prendere le decisioni. Servono dei presidi scientifici a cui il Parlamento possa rivolgersi. Negli altri paesi con un’economia florida si tende sempre più a costruire attorno all’evidenza perché ci sono questi presidi che rappresentano dei punti di riferimento per la politica: sono l’ingranaggio che collega ciò che si fa nei laboratori e alle scelte dei politici. Hanno il ruolo di informare e arginare le bufale, ma anche di diffondere una cultura del metodo e della responsabilità nell’assegnazione delle risorse pubbliche. Negli altri paesi le Agenzie della ricerca non sono una brutta parola, come sembra in Italia. Secondo la European Science Foundation, su 44 paesi del continente europeo siamo tra i cinque che non hanno un’Agenzia, quando molti paesi ne hanno più di una. Ma noi non abbiamo mai avuto neanche degli science advisors che consiglino il governo, né uno science office che possa essere consultato dal Parlamento. Manca una visione, e in assenza di strategie il vuoto rischia di riempirsi di corruzione, anche del metodo. Abbiamo del denaro che si disperde in mille rivoli. Anche dove ci sono finanziamenti, manca addirittura un registro dei progetti finanziati. L’aspetto rassicurante è che non sono misure difficili da attuare, si tratta solo di formare una catena di procedure”.
Lei insiste molto sulla sacralità dei finanziamenti pubblici alla ricerca. “Ogni singolo euro del cittadino è sacro”, ha detto poco fa. Una frase che potrebbe essere uno slogan M5S…
“Ed è proprio così: quel denaro è sacro, ma sacro veramente. Ogni singolo euro. Per questo serve una catena di procedure che risponda a questo impegno di etica pubblica, che è la gestione del denaro dei cittadini con cui puoi disegnare le strade. Ma oltre alla percezione a monte di quella sacralità, servono la capacità e l’ambizione di vedere da qui a vent’anni”.
Il risultato delle elezioni italiane è finito anche su Science, che in un articolo pubblicato il 6 marzo ricorda le posizioni antiscientifiche espresse in passato da M5S e Lega e segnala il rischio di effetti negativi sulla scienza. Se se ne preoccupa una delle più influenti riviste scientifiche del mondo, come facciamo a non preoccuparcene noi?
“Preoccuparsi è lecito e normale, la cosa fondamentale è che ciascuno si senta chiamato a contribuire, ora più che mai. Come diceva Nanni Bignami (il celebre astrofisico scomparso nel maggio scorso a cui Cattaneo ha deciso di dedicare la conferenza, ndr), “se non sei soddisfatto della politica messa in atto da chi hai eletto, sostituisciti a lui”. Governare una democrazia, ho capito appoggiando leggermente il piede là dentro, non è facile. Ci sono urgenze ed emergenze continue, e il nostro è un Paese complesso. Ma è proprio per questo che serve un livello separato, una catena operativa che possa essere svincolata dalle decisioni quotidiane della politica”.
Cosa si aspetta dalla nuova legislatura?
“Non lo so, sono curiosa. È un grosso cambio, un esperimento: facciano il governo e poi vediamo. Sono di quelli che dicono che bisogna comunque fare la propria parte, senza deflettere mai. Saremo lì, vigili e attenti. Se qualcuno ha delle idee buone in questo nuovo governo, saremo pronti ad accoglierle. Su tutto, non solo sulla scienza”.
Quindi tutto sommato resta ottimista?
“Sì, perché che siamo capaci: questo Paese, nonostante una disattenzione perdurante verso la scienza e la ricerca, fa conquiste straordinarie. Basta aprire oggi Nature per trovare uno studio incredibile su Giove condotto da un gruppo italiano. La capacità della scienza e della cultura italiana di contribuire a livello europeo è enorme. Non siamo ultimi, siamo nelle posizioni più alte delle varie classifiche come produttori di scienza. I nostri giovani sono bravissimi e non hanno paura. Ovvio che hanno la domanda sul futuro, ma questo non li blocca. Ogni giorno arrivano, aprono la porta del laboratorio e si cimentano come se partissero per la Luna. Sono persone che non si spaventano, non si rassegnano. Vorrei solo che qui avessero migliori opportunità”.
Cosa possono insegnare gli scienziati ai politici?
“Lo scienziato tante volte sbaglia, tante volte fallisce. Disegna delle strade per scoprire cose che nessuno conosce. Ci vogliono coraggio, un allenamento costante al pensiero critico e la volontà di consegnare un pezzo alle generazioni future. È un metodo che può contribuire non solo ad arginare le bufale, ma a costruire una società migliore, composta da cittadini informati, allenati al fatto che attorno le cose sono complesse, ché quando erano semplici è perché si stava peggio”.
Non la spaventa dunque la tendenza alla semplificazione che sta caratterizzando questa epoca?
“Penso sempre che siano momenti di passaggio. Prendiamo internet e l’accusa di semplificare troppo i messaggi. Anche quel mezzo cambierà, come sono cambiate la stampa e la televisione. Pensiamo alla prima locomotiva che è passata dagli Stati Uniti: qualcuno temeva che fosse la fine della società americana. Tutto passa e si modifica. E la scienza serve proprio a questo, a farci passare da un momento all’altro. Certo, in alcune fasi c’è il conflitto… ma anche la semplificazione passerà”.
Cosa fare, nel mentre?
“Non dobbiamo smettere di vigilare. La comunità degli studiosi ha una buona dose di colpe nel filo interrotto tra scienza e politica. La nostra passione non basta, dobbiamo aiutare la politica a costruire sulla razionalità, è un ruolo da riconquistare ogni giorno, soprattutto oggi. Abbiamo la fortuna che è semplice: dobbiamo solo dire la verità, alzarci in pedi ogni volta che qualcuno tenta di omettere o modificare delle scoperte. Certo, la scienza è difficile da spiegare. Quando esci dal laboratorio e cominci a parlare di embrionali staminali o di ogm c’è qualcuno che ti spara addosso. Ma lo scienziato non deve tirarsi indietro, non deve temere il confronto. Dobbiamo essere i primi a combattere contro ogni interferenza che danneggia non solo la nostra libertà, ma l’interesse del cittadino. Dobbiamo difendere la sacralità dell’investimento, quel pezzo di verità conquistata”.
*Huffington Post, 9 marzo 2018