E’ stato il giorno di Viktor Orbán. Un «one man show» combattivo e istrionico, nel quale il premier ungherese si è confermato tribuno e guida politica dei sovranisti d’Europa. Forse oggi il Parlamento europeo voterà a favore dell’avvio di una procedura d’infrazione contro il governo di Budapest, per violazione dello stato di diritto. Ma ieri a Strasburgo, prima in aula e poi in conferenza stampa, Orbán ha rovesciato i ruoli, producendosi in un j’accuse violento e sprezzante contro «le forze in favore dell’immigrazione che vogliono vendicarsi dell’Ungheria», baluardo dei «valori cristiani» e decisa a difendere le sue frontiere e quelle dell’Unione. Orbán ha scelto una linea d’attacco, ignorando le richieste di ragionevolezza che venivano dal Ppe, del quale è parte il suo Fidesz e che ieri sera ha dato libertà di decidere secondo coscienza nella votazione odierna agli eurodeputati popolari.
«La decisione è già presa, non mi faccio illusioni, avete ricevuto ordini da Berlino», ha detto con chiaro riferimento alla cancelliera Merkel. E ancora: «Io non accetterò il ricatto che ci presentate. Voi volete umiliare la nostra nazione e il popolo ungherese, ma qualunque cosa deciderete, noi proteggeremo i nostri confini e faremo valere i nostri diritti, se necessario contro di voi».
Occorre una maggioranza dei due terzi dei presenti per approvare il rapporto della Commissione Interni, che raccomanda di applicare l’articolo 7 del Trattato nei confronti di Budapest, accusata di deviare dai «principi fondamentali dell’Unione». E i voti, se non di tutti, di almeno una parte consistente dei cristiano-democratici, il gruppo più numeroso, sono decisivi. Il Ppe è lacerato. Ieri, in una telefonata con Orbán, Silvio Berlusconi gli ha promesso che i parlamentari di Forza Italia a Strasburgo voteranno contro il documento. Non è solo per amicizia personale. È una mossa a uso interno, probabilmente decisa dopo l’annuncio che il Movimento 5 Stelle voterà a favore della messa in stato di accusa: Berlusconi prova cioè a ricompattare il centrodestra, allineandosi a Salvini e alla Lega, schierati anima e corpo con Orbán.
Ma il resto del Ppe, tanto più dopo la performance orbaniana di ieri, appare orientato a votare in favore del rapporto. Anche Manfred Weber, presidente del gruppo e fin qui grande protettore di Orbán, ieri ha assunto una posizione più intransigente, dicendo che «se l’Ungheria non è pronta a un compromesso, sarà necessario ricorrere all’articolo 7». Secondo fonti tedesche, l’esponente bavarese sarebbe stato richiamato all’ordine da Angela Merkel in persona, irritata da alcune dichiarazioni nei giorni scorsi, in cui Weber aveva detto di voler gettare ponti e trovare compromessi anche con le forze populiste, dal polacco Kaczynski a Matteo Salvini.
Il ministro degli Interni è stato il grande convitato di pietra della giornata, il suo nome evocato (e criticato) in molti interventi. Orbán lo ha riconosciuto come alleato, non di partito ma a livello di governi: «Vuole proteggere le frontiere, lo appoggio al 100%». Alla nostra domanda, perché a Milano, visto che la definiva una collaborazione fra governi, ha incontrato il ministro e non il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, Orbán ha risposto facendo un sorrisetto: «Conte non era a Milano».
Tanto elogiativo è stato il premier ungherese con Salvini, quanto feroce con Emmanuel Macron, che rappresenta «l’opposto dell’Europa di cui abbiamo sempre discusso» e Orban accusa di «voler distruggere il Partito popolare, sfruttandone la debolezza e convincendo alcuni dei nostri membri a unirsi al suo movimento». Lui, Orbán, non ha alcuna intenzione di farsi mettere alla porta dai Popolari: «Sono entrato nel Ppe su invito di Helmut Kohl e solo lui potrebbe gettarmi fuori».
La retorica fiammeggiante del tribuno magiaro, che dulcis in fundo ha definito «assurdo» il dibattito in aula, non ha però impressionato i suoi accusatori. «Cercando di far passare le critiche al suo governo per un attacco al popolo ungherese, lei ha scelto la strada dei vigliacchi», ha detto il vice presidente della Commissione, Franz Timmermans. «Lei è a capo del governo più corrotto dell’Unione», ha tuonato il capogruppo socialista Udo Bullmann.