La Confindustria lamenta che per troppo tempo il governo Conte si è occupato principalmente di pensioni e di migranti sacrificando la «vera agenda del Paese». Con la preparazione della legge di Stabilità il lavoro, tema-chiave di quella lista, torna giocoforza nelle priorità dell’esecutivo giallo-verde ma quella che sembra mancare, almeno fino ad oggi, è una visione unitaria. Non si parla di una riforma organica — e si può anche capire — ma l’impressione è che si seguano percorsi contraddittori o addirittura opposti. Lega e Cinque Stelle non spingono nella stessa direzione, anzi.
C’è un’agenda verde del lavoro e un’agenda gialla ed entrambe vanno avanti senza incrociare/verificare le date e le scelte concrete.
Scelte individualiPrendiamo la mini flat tax per le partite Iva che la Lega ha scelto come misura-bandiera della sua iniziativa autunnale. Ricordiamo che storicamente il Carroccio nasce proprio dai territori delle Pmi e delle partite Iva e molto spesso i primi sindaci e assessori lombardi o veneti della Lega erano piccoli imprenditori autonomi.
Questa vocazione oggi si ripropone alla grande e serve ad affrontare un tema molto sentito tra i professionisti e gli operatori del settore, figure molto diverse tra loro come i free lance della conoscenza, ma anche artigiani e commercianti. La proposta leghista-governativa porta la tassa piatta al 15% per un imponibile che oscilla tra i 60 e i 100 mila euro. Non esaminiamo in questa sede gli effetti che avrebbe sul singolo lavoratore quanto le conseguenze sistemiche. La convenienza fiscale ad aprire una partita Iva — specie nel caso il tetto arrivasse a 100 mila — sarebbe molto forte al punto da determinare una serie di movimenti a catena nel mercato del lavoro.
Accanto al soggetto-principe «lavoratore dipendente» e al nuovo soggetto «precario» si rafforzerebbe la tendenza a diventare lavoratore autonomo, dando così una forte impronta verde all’occupazione made in Italy. Il dubbio di molti è se prevarrà una trend a scendere, ovvero se le organizzazioni si scinderanno per aderire a un sistema fiscale propizio, o si rafforzerà l’iniziativa dal basso da parte dei disoccupati che intravedranno una nuova exit strategy imprenditoriale. Lo sapremo ma è chiaro che è la spinta individuale in entrambi i casi a prevalere, ad occupare la scena e l’assunzione del rischio tipica del lavoro indipendente conviverebbe con un fisco-amico (per la prima volta!).
AssistenzaSe prendiamo in mano l’agenda gialla, i provvedimenti per il lavoro che piacciono ai 5 Stelle (il disegno di legge Dignità e il reddito di cittadinanza), la scena cambia radicalmente. Il soggetto-chiave diventa lo Stato chiamato a risarcire i disoccupati della solitudine e dell’angoscia in cui sono precipitati e intenzionato a sostituire la spinta alla mobilitazione individuale con schemi di protezione pubblica.
E’ facile capire che siamo agli antipodi rispetto all’homo salvinianus e viene in parallelo radicalmente riscritto tutto il lessico laburista del centro-sinistra.
Niente più flexsecurity, alternanza studio-lavoro, attivizzazione del singolo, occupabilità. Il nostro homo demaianus ha accumulato un risentimento nei confronti delle istituzioni che secondo la politica va in qualche modo mitigato con un’inversione di scelte. Non c’è alternativa a questo punto, il rischio va totalmente in capo allo Stato (che lo deve risolvere in sede di budget centrale magari sfiorando i tetti di spesa) che al massimo condiziona il suo generoso intervento controllando che i comportamenti dei singoli non siano scorretti e non creino abusi.
Nessuno chiede al disoccupato di diventare imprenditore di se stesso.
Convivenza difficileMa possono convivere sotto lo stesso tetto — o nello stesso contratto di governo — filosofie del lavoro così diverse? La prima risposta che viene spontanea è ovviamente no e non solo in omaggio alla coerenza. Il mercato del lavoro in Italia non è un meccanismo oliato, tutt’altro. Spesso appare ingovernabile e gli elementi di contraddizione che si produrrebbero sommando l’agenda gialla e quella verde rischiano di aumentare. E comunque di ricalcare le differenze territoriali e i diversi bacini elettorali.
E’ molto probabile per quanto detto finora che al Nord le partite Iva aumentino e che gli studi professionali o le piccolissime imprese mutino la loro ragione sociale per pescare un fisco più favorevole, mentre al Sud il ritorno dello Stato-tutore in qualche maniera potrebbe contribuire a ingessare ulteriormente i mercati del lavoro locali.
E’ chiaro che si tratta di proiezioni e non sappiamo esattamente come l’occupazione reagirà a queste modifiche molto energiche, ma resta nell’osservatore l’idea che alla fine le coerenze si fanno preferire ai testacoda.