Se c’è in Italia qualcuno che oggi può vantare l’expertise di saper «romanizzare i barbari» questo è il professor Giovanni Tria. Fino a pochi mesi l’attuale ministro dell’Economia era conosciuto solo da una ristretta fascia di addetti ai lavori e in poco tempo, invece, si è imposto all’attenzione di tutti massimizzando i consensi.
A Cernobbio gli è stata assegnata la posizione d’onore ovvero l’intervento di chiusura della tre giorni ma al di là del calendario tutti guardano a lui come il baluardo della responsabilità dentro il governo giallo-verde.«Romanizzare i barbari» è un’espressione che un paio di settimane fa ha usato il politologo Giovanni Orsina sulle pagine del Foglio. Il riferimento è al tempo della caduta dell’Impero Romano e alla necessità di trovare subito dopo un compromesso tra «i desideri di palingenesi» dei barbari vincitori e «gli obblighi della realtà». La metafora, come capite, si attaglia molto bene ai nuovi equilibri politici del dopo 4 marzo e Tria sembra proprio che sia riuscito nell’operazione. Ieri non ha voluto dare numeri ma è stato abile nel rassicurare gli imprenditori e i banchieri presenti sulla stabilità finanziaria dell’Italia, obiettivo del quale è riuscito in precedenza a convincere i due capi dei barbari, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Dopo il week lungo di Cernobbio, insomma, il governo giallo-verde fa meno paura e a dirlo esplicitamente sono uomini in genere assai prudenti come Gabriele Galateri o Roberto Nicastro, senior advisor del fondo Cerberus.
Se dunque Tria è l’esorcista l’altro protagonista della mattinata è stato un barbaro parso in via di romanizzazione, Stefano Buffagni, sottosegretario agli Affari Regionali considerato molto vicino a Luigi Di Maio. Buffagni con il suo «statalismo dolce» – sicuramente un ossimoro secondo i liberisti – ha anche lui rassicurato la platea. «Siamo di lotta e di governo, ma soprattutto gente di buonsenso» ha detto. E subito dopo ha ammesso di essere stato sempre pro-Ilva, di volere il Terzo Valico e di opporsi alla Torino-Lione non per ideologia ma per valutazioni di merito. Lo Stato, secondo Buffagni, è meglio dei privati perché è «investitore paziente» e quindi vede la Cassa Depositi e Prestiti come regia della politica industriale italiana e vuole addirittura che lanci una scuola di management pubblico. Non crediamo alle virtù del pubblico per sete di potere, ha aggiunto, tanto che «abbiamo più sedie che persone che le occupino». Dovendo spiegare la coerenza tra flat tax e reddito di cittadinanza anche il barbaro romanizzato però si è incasinato ma comunque alla fine la definizione che lo accompagna del «Lotti di Di Maio» è parsa ingenerosa ai più.