All’inizio dell’estate aveva l’orgoglio di vedere crescere il primo gruppo industriale con sede in Italia, in quel Nord Est dove la sua famiglia non ha mai smesso di vivere costruendo quello che è stato definito l’impero Benetton. Poi lo choc. Il 14 agosto. Un ponte che cade. A Genova, quello che era un esempio dell’ingegneria italiana si sgretola. Da qui le accuse. Pesanti. I sospetti. Pesanti anch’essi. Gilberto Benetton è nella sede di Milano. Per la prima volta parla da quel 14 agosto. Ed è da lì che si deve ripartire.
Quarantatré vittime accertate sotto le macerie. Dov’era quando le hanno comunicato cos’era accaduto?
«Ero in vacanza, come credo la maggior parte degli Italiani. Ad un tratto il dramma, e tutto è cambiato: anche per noi sono iniziati giorni di sofferenza e di cordoglio. Siamo stati costantemente vicini, nel ruolo di azionisti, alle decisioni prese dai manager di Autostrade per l’Italia, e al lavoro che loro hanno svolto per iniziare a capire ciò che era successo e per mettere a punto i primi interventi e i primi aiuti alla città di Genova, interventi che continuano con grande determinazione e per affrontare le difficoltà che i cittadini della città continuano a vivere».
E il silenzio? Siete primo azionista con il 30% di Atlantia che controlla Autostrade, eppure in quelle ore drammatiche è prevalso il silenzio…siete apparsi distratti, disinteressati. Perché comunicati così tardivi?
«Sa, dalle nostre parti il silenzio è considerato segno di rispetto. Edizione, la nostra holding, ha parlato meno di 48 ore dopo la tragedia, a voce bassa è vero, perché la discrezione fa parte della nostra cultura. Ha però comunicato con parole chiare e inequivocabili un pensiero di cordoglio alle famiglie delle vittime e la propria vicinanza ai feriti e a tutti coloro che sono stati coinvolti in questo disastro. Con altrettanta fermezza abbiamo dichiarato che verrà fatto tutto ciò che è in nostro potere per favorire l’accertamento della verità e delle responsabilità dell’accaduto. Forse non siamo stati sentiti».
Ma fare festa a Cortina a poche ore dal crollo di Genova è parso un grave segno di poca sensibilità.
«Sinceramente non è mia abitudine rispondere a insinuazioni, ma è vero, tutta la famiglia il 15 agosto si è riunita a casa di mia sorella Giuliana, come abbiamo sempre fatto negli ultimi trenta anni, questa volta stretti assieme per ricordare nostro fratello Carlo, il fratello più giovane, scomparso meno di un mese prima».
E poi la riconferma del vertice con quel triplo incarico del presidente…
«Conosco il presidente Fabio Cerchiai da molti anni e in lui ho la massima stima e fiducia, come sono sempre stato convinto della serietà, della competenza e dell’eccellenza del management di Autostrade e di Atlantia. Non a caso quest’ultima è diventata un player mondiale, rispettata in Italia e all’estero, in una pluralità di settori oltre a quello autostradale, dando lavoro a migliaia di persone e divenendo un riferimento a livello internazionale. Detto questo, ripeto quello che abbiamo dichiarato nell’immediatezza del tragico evento di Genova, ovvero che siamo certi della totale volontà di collaborazione con le Istituzioni e le autorità preposte da parte della società operativa Autostrade per l’Italia, il che significa assoluta trasparenza e completa assunzione delle responsabilità che venissero accertate, quando lo fossero».
E se ci sono stati errori?
«Se nel caso di Autostrade sono stati commessi degli errori, quando si sarà accertato compiutamente l’accaduto verranno prese le decisioni che sarà giusto prendere. Come azionisti che siedono anche nel consiglio di amministrazione della società, abbiamo il compito di dare gli stimoli e indicare le linee guida per lo sviluppo e la crescita dell’azienda, per farla eccellere nelle sue attività, in tutti i campi, supportando il management, ma mai sostituendoci ad esso. Questo è quello che abbiamo fatto in tutte le società controllate e partecipate, questo è il percorso che abbiamo intrapreso anche nella nostra holding Edizione, come io annunciai, proprio al “Corriere della Sera”, due anni fa».
Fatto sta che non sono pochi quelli che pensano che l’acquisto di Autostrade sia stato un regalo dei governi di centrosinistra, di Prodi e D’Alema.
«C’è stato il momento storico delle privatizzazioni che negli anni 90 lo Stato decise di fare, a causa del grande debito pubblico, per poter entrare nell’euro. In quel momento Autostrade fu messa sul mercato con un’asta pubblica, sottolineo pubblica, a cui chiunque poteva partecipare e infatti il gigante delle infrastrutture australiano Macquarie era fortemente interessata a rilevarla».
Alla fine l’avete presa voi però…
«Ma lei ricorda la difficoltà di creare una cordata di imprenditori a guida italiana che volessero rilevare le autostrade? L’asta richiedeva di rilevare il 30% di Autostrade, noi di Edizione volevamo il 4% e finimmo per prenderne il 18 perché oltre ai soci che condivisero con noi quel progetto — Fondazione Crt, Generali, Unicredit, Abertis e Brisa — non si fece vivo nessun altro. Nessuno. Dopo aver dimostrato con Autogrill (privatizzata nel 1995) che Edizione era in grado, come azionista, di saper sviluppare anche business lontani da quello delle nostre origini, ci si è cimentati con questa sfida offrendo una cifra che allora fu giudicata spropositata, l’intera società con la nostra offerta veniva infatti valutata 8,4 miliardi di euro di allora, un “regalo” piuttosto caro direi, e questo oggi nessuno lo vuole ricordare. Con Edizione c’era la convinzione di poter affrontare una fase nuova che implicava anche una grande responsabilità verso il Paese, l’azienda, i suoi dipendenti, e tutti quegli investitori che parteciparono e mostrarono fiducia in quel progetto. E in cui credono ancora oggi poiché gli investitori e i risparmiatori rappresentano il 70 per cento della proprietà di Atlantia».
È innegabile che siate stati visti come imprenditori (anzi prenditori come dice Di Maio), aiutati dalla politica che prima vi ha venduto Autostrade e poi vi ha avvantaggiato con concessioni particolarmente favorevoli.
«Noi siamo imprenditori e non a caso Edizione è una holding di partecipazione con una anima industriale che conta oggi oltre 100 mila addetti diretti e la maggior parte di essi lavorano in settori ad alta competitività internazionale come Autogrill, Cellnex o la stessa Benetton da cui tutto è partito. Come dovremmo chiamare infatti un azionista di lunghissimo termine che assume un rischio di impresa con una solida visione di economia reale che implica investimenti, creazione di lavoro, creazione di valore per tutti: parliamo di imprenditori o di “prenditori”? Riguardo alle condizioni economiche delle concessioni posso solo dire che quelle di Autostrade per l’Italia sono molto simili a quelle degli operatori del settore autostradale di tutto il resto del mondo».
Ma sugli investimenti? Dividendi e utili sono stati molto alti in questi anni grazie proprio ad Autostrade, come abbiamo scritto e come diceva ancora ieri il «Financial Times…»
«Compito degli imprenditori è creare valore, fare utili che nel caso di Edizione abbiamo reinvestito sempre in nuove sfide industriali».
Vi accusano di averlo fatto grazie all’amicizia del centrosinistra, di aver finanziato partiti, pagato politici, corrotto intere classi dirigenti…
«Noi non abbiamo mai pagato nessuno: prenda i bilanci di Edizione e lo vedrà. Guardi anche i bilanci delle controllate, ricordo solo un caso in cui nel marzo 2006 il consiglio di Atlantia approvò la proposta del management affinché la società facesse un finanziamento pubblico a tutti, sottolineo tutti, i partiti dell’arco costituzionale, finanziamenti regolarmente iscritti nel bilancio secondo la legge. Dall’anno successivo, con un nuovo management e una nuova governance, il fatto non si è mai più ripetuto».
Avete parlato con il governo attuale, con chi vi accusa?
«In verità siamo più gente del fare, sempre disponibili al dialogo ma per un confronto serve un clima costruttivo».
Salvini vi ha definito «senza cuore».
«Dispiace, molto, ma io credo che Salvini conosca gli imprenditori e sappia quello che c’è nei loro cuori».
Comunque sia ora si parla di nazionalizzazione, ritiro della concessione…
«Oggi questo mi sembra sia diventato un tema politico e quindi al di fuori di ciò di cui mi occupo. Come gruppo siamo sempre stati attenti e collaborativi con le Istituzioni e le autorità, e continueremo ad esserlo nel rispetto delle proprie posizioni, dei propri doveri e dei propri diritti».
In questa vicenda si rimprovera qualcosa o pensa che avrebbe potuto e dovuto fare ancora di più?
«Il disastro di Genova deve essere per noi come azionisti un monito perenne, anche se terribile e per sempre angoscioso nei nostri cuori, a non abbassare mai la guardia e continuare a spingere il management, che ha la responsabilità della gestione, a fare sempre di più e di meglio, nell’interesse di tutti, e ripeto tutti».
Si dice che vogliate uscire dal settore infrastrutture.
«No. Siamo investitori di lungo termine e le infrastrutture hanno bisogno di capitale paziente. Ricordo che quando prendemmo Autostrade fatturava 2 miliardi di euro, tutti in Italia. Oggi Atlantia, con Abertis, avrà un fatturato di oltre 11 miliardi di euro e con il peso delle attività internazionali pari a oltre il 50 per cento e, facciamo bene attenzione, senza dimenticare mai gli investimenti in Italia, sulle autostrade italiane, pari a oltre 10 miliardi di euro negli ultimi 10 anni: un miliardo l’anno. Pochi mesi fa, Edizione ha acquisito dalla spagnola Abertis, Cellnex, una società di grandissimo potenziale nel settore delle torri per le telecomunicazioni presente in quasi tutta Europa. Edizione ha investito 1,5 miliardi di proprio capitale, sempre con l’idea di supportare il suo management nel processo di crescita, anche al fianco di importanti investitori finanziari internazionali interessati a questo settore. Anche questo è un comparto soggetto a forte competizione, con in più la complessità della variabile tecnologica. E diventa un primato italiano».
Ma a questo punto fermerete l’operazione Abertis?
«Abertis è una operazione importantissima per Atlantia e per l’Italia, un’operazione che è stata chiusa e definita e che, guidata dall’amministratore delegato di Atlantia Giovanni Castellucci, proseguirà come è stato pianificato. Abertis è il frutto della volontà di costruire un campione italiano capace di competere nel mondo, nelle autostrade, negli aeroporti e in altre infrastrutture».
E invece avreste potuto fermarvi prima?
«Si, avremmo potuto fermarci molto tempo fa, goderci la vita con quello che avevamo creato. Invece siamo ancora qui, coinvolti nel lavoro a tempo pieno, credendo fermamente nelle capacità e potenzialità dell’Italia. E lavoreremo per continuare ad investire, per la crescita, sempre con un orizzonte di lungo termine perché è nella natura dell’imprenditore costruire il futuro con umiltà e tenacia».