Piange il telefono fra Roma e Bruxelles, piange e tace. Mancano meno di venti giorni lavorativi al momento in cui il governo dovrebbe pubblicare i suoi obiettivi di finanza pubblica e come raggiungerli: la cosiddetta Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, da approvare in parlamento entro il 27 settembre. Quel testo deve contenere gli impegni sul deficit e il debito pubblico che l’Italia si dà per l’anno prossimo e la struttura della Legge di stabilità.
Poiché è chiaro da mesi che il cammino verso il pareggio di bilancio sarà frenato — oppure invertito — il governo ha fatto sapere che ne avrebbe parlato con la Commissione Ue. Si tratta di trovare, fra Roma e Bruxelles, una strada perché si salvi almeno l’apparenza delle regole europee o una minima dose di queste. Sotto pressione sui mercati, sotto sorveglianza dalle agenzie di rating, il governo sa che ha interesse impostare la manovra provando a evitare una rottura con la Commissione Ue e dunque una procedura sui conti.
Per questo i contatti dovrebbero avvenire in questi giorni, ma non è così.Tutto tace. L’ultima volta che il ministro dell’Economia Giovanni Tria si è seduto per parlarne con Pierre Moscovici, il commissario agli Affari monetari, era inizio luglio. Colloqui preliminari. Ma dopo la pausa estiva sono corse ben poche telefonate fra il Tesoro di via Venti Settembre a Roma e i palazzi di Rue de la Loi, a Bruxelles, che ospitano la direzione generale Economia e finanza e i vertici della Commissione Ue.
A Bruxelles ormai si è capito perché tanto silenzio: dai piani più alti del Tesoro di Roma nessuno telefona, perché nessuno saprebbe cosa dire. Tutto avviene come se le strutture dell’amministrazione non avessero vere indicazioni di lavoro dal cuore politico del governo, i leader 5 Stelle e Lega: né sugli obiettivi di deficit, né di debito o sulla vera struttura del bilancio. Gli annunci dei leader su Facebook sono stati più frequenti delle riunioni a porte chiuse per fissare dei punti fermi della legge più importante dell’anno.
L’interesse del governo, e i tentativi di Tria, vanno in realtà in senso opposto: accorciare al massimo i tempi della Nota, perché oggi l’incertezza mette in fuga gli investitori, alza i rendimenti del debito pubblico e ne aumenta il costo per i contribuenti. Daniel Gros del Ceps di Bruxelles mostra del resto che i titoli di Stato italiani emessi in dollari stanno soffrendo meno di quelli in euro: segno che gli investitori temono che il governo decida un’uscita dall’euro, che colpirebbe solo i titoli in euro. Gross stima che almeno lo 0,80% nell’aumento dello spread sui titoli italiani, al costo per il contribuente di tre miliardi in più ogni anno, è dovuto al timore di Italexit (altrettanto ai timori sulla tenuta dei conti).
Rare volte negli ultimi mesi il costo di tutta questa incertezza è stato chiaro come ieri. Alle tre del pomeriggio, poi di nuovo venti minuti dopo le sei, improvvisamente sono crollati i prezzi dei titoli di Stato italiani a scadenza nel 2020. I rendimenti dei Btp a due anni — che si muovono in senso opposto ai prezzi — hanno sfondato la soglia dell’1,4% che non vedevano dai primissimi giorni di governo. Il rendimento dei Btp a dieci anni ha superato il 3,2%, ai massimi dal 2014.
Soprattutto i titoli di Stato a due anni sono un punto nevralgico e una cartina tornasole degli eventi. Quando gli investitori decidono di lanciare una scommessa al ribasso sull’Italia, spesso prendono in prestito e vendono sul mercato proprio quelli (per ricomprarli con meno denaro dopo e poi restituirli). È lì che si può infliggere il massimo stress sulla struttura del debito, perché il crollo dei prezzi sui titoli biennali segnala al mercato un rischio di crisi vicina. Ieri probabilmente le scommesse ribassiste sono venute dagli Stati Uniti e ormai ne bastano di relativamente piccole per muovere il mercato: data l’incertezza che i leader di governo alimentano su Twitter e Facebook ogni giorno, gli investitori si tengono lontani e la liquidità sul debito italiano diventa molto sottile.
L’incertezza è legata a due fattori legati fra loro, dei quali la Nota al Def è solo il più vistoso. L’altro è l’arrivo delle prime risposte delle agenzie di rating, che danno una valutazione sulla solidità del debito. Questa sera dopo le 22, a mercati americani chiusi, è attesa quella di Fitch. Una sua squadra era stata a Roma in luglio, non aveva ricevuto impressioni rassicuranti dai contatti con il mondo politico e soprattutto aveva cercato chiarezza su ciò che ancora è incerto: gli obiettivi di deficit.
Lo stesso avevano cercato di capire i tecnici Moody’s il mese scorso, senza successo. Moody’s avrebbe dovuto pronunciarsi il 7 settembre, quindi ha deciso di rinviare a quando la Legge di stabilità sarà pubblica. Ma secondo quanto percepito in ambienti di governo, il dilemma in seno a Moody’s non riguardava il punto di declassare o no l’Italia. Era se declassarla di uno o due gradi. Nel secondo caso, il debito del Paese per la prima volta avrebbe avuto un rating che gli addetti definiscono «spazzatura».