È successo negli ultimi giorni qualcosa attorno all’Italia che non si vedeva da tempo. Gli investitori hanno iniziato a reagire a eventi puramente politici e a quel che percepiscono come il progressivo isolamento del governo in Europa. È la politica stessa — non gli annunci sul bilancio — che sta alimentando la percezione di rischio finanziario attorno al Paese in questa fase.
È da tre mesi e mezzo in realtà che prosegue la deriva verso l’alto nel rendimento dei titoli di Stato, cioè la compensazione per il rischio di comprarli. Lo spread che il debito italiano a 10 anni paga sul Portogallo oggi è persino superiore allo spread che l’Italia pagava sulla Germania prima che uscisse il contratto di governo giallo-verde. Vista da Roma, Lisbona oggi è finanziariamente più lontana di come fosse Berlino a maggio.
Fino a qualche settimana fa tuttavia gli sbalzi sui titoli del Tesoro erano dettati per lo più da annunci del governo o della maggioranza sui costi della prossima legge di Stabilità o magari su un presunto «piano B» di uscita dall’euro. Adesso invece è diverso. Emerge una novità di cui si è subito preso nota a Bruxelles e nelle altre grandi capitali europee: questa volta, l’economia non c’entra. Da martedì lo spread sui titoli a dieci anni è cresciuto di altri dieci punti sul Portogallo (0,10%), tredici sulla Spagna e per la prima volta da un decennio lo spread della Grecia sull’Italia è sceso sotto i cento punti, eppure nel frattempo nessuna nuova informazione è arrivata sull’economia italiana. Ve ne sono state invece sugli istinti e le posizioni di Roma rispetto agli altri governi e ai meccanismi dell’Unione Europea: il blocco della nave Diciotti con il suo carico di profughi nel porto di Catania, finché altri Paesi non ne avessero accolti una parte; la minaccia di sospendere il versamento di circa due miliardi netti l’anno di contributo dell’Italia al bilancio della Ue, anche se quello è di fatto il biglietto d’ingresso del Paese a un mercato che garantisce 225 miliardi di export italiano; l’altra minaccia, di nuovo brandita ieri dal premier Giuseppe Conte, di bloccare il prossimo bilancio pluriannuale della Ue; infine l’annuncio dell’incontro di domani a Milano — non di Stato, ma politico — fra il vicepremier Matteo Salvini e Viktor Orbán, il leader anti-europeo della «democrazia illiberale» ungherese. Se si stabilizza, l’aumento dei rendimenti sul debito causato dal nervosismo prodotto da questi eventi costerà ai contribuenti italiani oltre 700 milioni in più solo nel 2019. Gli investitori hanno iniziato a capire ciò che accadeva nei corridoi delle istituzioni a Bruxelles e nelle cancellerie europee, mentre l’Italia cercava di mandare i suoi diktat. Anche qui c’è stata una prima volta: è emersa una decisione quasi unanime di isolare il governo di Roma e portarlo a una chiara sconfitta politica sulla Diciotti. In questo caso il governo capofila nel respingere le richieste sui profughi, secondo ricostruzioni di vari sherpa, è stato quello di Parigi; ma la Francia non avrebbe avuto difficoltà a portarsi dietro la Spagna (benché Madrid sia esposta ai flussi di migranti, dunque sensibile al tema), quindi anche la Germania e gli altri. Presunti alleati come l’Ungheria hanno respinto ogni richiesta italiana.
Secondo alcune persone vicine ai negoziati, in particolare un aspetto ha indotto gli altri Paesi ad abbassare le saracinesche: l’impressione che il governo non cercasse una soluzione ma una prova di forza da vincere simbolicamente, anche solo su poche decine di profughi. È scattato dunque il rifiuto di un metodo di lavoro fatto di imboscate e guerriglia diplomatica. Le minacce sul bilancio europeo hanno poi radicato negli altri Paesi questa percezione e indurito le loro posizioni. Non è un caso proprio ieri il premier francese Édouard Philippe ha avvertito che questo metodo negoziale può portare l’Italia «in un vicolo cieco».
A Bruxelles poi ha sorpreso un secondo aspetto. Oggi l’Italia è alla vigilia di un confronto decisivo per chiedere più margini di deficit sulla prossima Legge di stabilità. Alzare la posta su una questione minore, tentando di dimostrare che si è in grado di ricattare il sistema, rischia di produrre la reazione opposta nelle trattative sul bilancio: può indurre gli altri governi a sollevare barricate. Di fatto, ciò può solo limitare lo spazio della Commissione Ue nell’offrire concessioni sulla Legge di stabilità.