Secondo uno schema già ampiamente rodato, si programma in agosto l’anteprima dei blockbuster che domineranno il cartellone autunnale.Così, nella variabilità della programmazione, si procede seguendo le certezze contenute nei contratti, come nel caso di Mediobanca.
L’istituto di Piazzetta Cuccia è retto da un patto di sindacato che lega il 28,47% del capitale e di cui Unicredit è il primo rappresentante, controllando l’8,4 per cento del capitale, quindi poco meno del 30 per cento della quota sindacata. Questo patto, che naturalmente scadrà il 31 dicembre 2019, consente una fuoriuscita anticipata dei soci alla fine di quest’anno, previa disdetta da comunicare entro il prossimo 30 settembre.
Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit, da quando venticinque mesi fa si è insediato al vertice del gruppo, ha sempre lasciato intendere due cose: l’orizzonte di Unicredit deve essere soprattutto estero (ed è per questo che si rincorrono ciclicamente suggestive ipotesi di alleanze transfrontaliere, dai francesi di Société Générale – recentemente riemerse – ai tedeschi di Commerbank); mentre Mediobanca – un tempo salotto buono della finanza e cassa di compensazione degli equilibri domestici – è stata derubricata da investimento strategico a investimento finanziario, ovvero un asset disponibile alla vendita. A tutto questo, dicono i bene informati, si aggiunge una certa contrapposizione tra Mustier e l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel e se fosse vero, gli aspetti caratteriali, anche in finanza, andrebbero considerati.
La finestra di settembre, ovvero cosa farà Unicredit rispetto alla possibilità di uscire anticipatamente dal patto, alimenta le voci. Se non esce, siamo già alla fine del 2019. Ma se esce? E poi cosa farà, venderà? E a chi? L’ipotesi di disdetta ha già tirato in ballo un nuovo protagonista, il fondo Elliott di Paul Singer, che dopo aver squassato gli equilibri esistenti in Tim-Telecom Italia e salvato il Milan dall’abisso cinese in cui era sprofondato, potrebbe giocare da fondo attivista qual è dentro Mediobanca, fino ad arrivare a turbare gli equilibri della cassaforte degli italiani, identificata al registro delle imprese come Assicurazioni Generali, di cui Mediobanca oggi controlla il 13 per cento.
IncontriSecondo alcuni, nei giorni scorsi Paul Elliott ha incontrato a Londra Alberto Nagel, ricostruzione questa che ha spiazzato molti ai vertici in Mediobanca, perché nelle ore del presunto colloquio Nagel veniva dato in vacanza a Courmayeur. Ha preso un aereo abbandonando per un giorno le piste da sci? Può essere. Di certo, quando Elliott è stato indicato tra i possibili protagonisti del prossimo blockbuster autunnale, alcune verifiche sono state fatte, con esito negativo. Un simile investimento in una istituzione finanziaria da parte di un fondo quale Elliott richiederebbe l’autorizzazione preventiva da parte della Banca centrale europea e una serie di vincoli che poco si adattano alla natura dinamica dei fondi attivisti.
E quale sarebbe poi la ratio dell’investimento? Indurre la cessione della partecipazione in Generali per dividersi una torta da 4 miliardi? È una ipotesi della sceneggiatura, mentre la possibilità di uscita dal patto da parte di Unicredit, aggiunge un ulteriore caveat.
Gli accordi in essere prevedono lo scioglimento automatico del patto qualora questo andasse a controllare una quota azionaria inferiore al 25 per cento del totale di Mediobanca. Sarebbe il caso prospettato. Ma già da Piazzetta Cuccia fanno sapere che gli altri partecipanti all’accordo sono disponibili a sottoscrivere un nuovo patto, di ampiezza ridotta, che controllerebbe circa il 20 per cento della banca.
A questo cartellone già molto affollato, andrebbe poi avvicinato anche un altro attore, fin qui fuori copione, ma che in passato ha dimostrato particolare interesse a questa trama, banca Intesa Sanpaolo. Se l’oggetto del desiderio sono le Assicurazioni Generali, ricorderete che nel gennaio 2017 Intesa uscì allo scoperto con una operazione, poi rientrata, che puntava proprio verso Trieste. E in un disegno che torna a focalizzare l’interesse della finanza verso Nord-est non considerare Intesa della partita potrebbe essere fuorviante. Tanto che gli amanti del thriller spionistico indicano Elliott addirittura come portatore degli interessi di Intesa: fantafinanza.
Come finirà? Il pallino è in mano a Mustier, che se decidesse di vendere avrebbe un solo vincolo da rispettare, il prezzo di carico delle azioni (10,1 euro), oggi di molto superiore al valore di Borsa di Mediobanca (circa 8,5). Nella sceneggiatura del blockbuster ha invece un ruolo non da protagonista il finanziere bretone Vincent Bolloré: le sue ultime incursioni in Italia contabilizzano rilevanti minusvalenze sia in Tim che in Mediaset. E a Trieste? Candidata al ruolo di miglior attore non protagonista, la compagnia ha un ceo, Philippe Donnet, molto vicino per cultura e interessi a Mustier e un azionariato che, al di là di Mediobanca che ha annunciato la volontà di scendere dall’attuale 13 al 10 per cento, potrebbe mettere assieme tra Caltagirone, Del Vecchio, Benetton, De Agostini e Crt una quota ben superiore a quel 10 per cento.