Dopo l’aggiornamento di luglio delle stime del Fondo monetario internazionale e dopo la pubblicazione delle «Summer Forecasts», le previsioni estive, dell’Unione Europea sulla crescita del Pil per il 2018 e il 2019, ieri è stata l’agenzia di rating statunitense Moody’s a rivedere al ribasso i numeri dell’economia italiana per il 2018 e per il 2019. L’agenzia di rating ha tagliato le sue stime di aumento del Pil italiano dall’1,5% all’1,2% per l’anno in corso e dall’1,2% all’1,1% per il prossimo. Solo la Francia, tra i Paesi europei, subisce un analogo trattamento e per il 2018 le previsioni di crescita di Parigi scendono dal 2% all’1,8% .
Per Moody’s — si legge nell’aggiornamento del «Global macro outlook», l’economia globale «resta solida» ma potrebbe aver raggiunto «il suo picco». Per quanto riguarda l’eurozona Moody’s parla di «solida crescita» nonostante il Pil reale abbia subito un «modesto rallentamento» nel secondo trimestre dell’anno (+2,2% anno su anno dopo il +2,5% del primo trimestre). Indipendentemente da questa lieve frenata, «le principali economie dell’eurozona (con l’eccezione dell’Italia) stanno crescendo con un passo solido» pur dovendo fare i conti con il «rallentamento della spinta del commercio». L’attività economica si è «leggermente indebolita» in Italia nel secondo trimestre (+0,2% rispetto al +0,3% del primo trimestre). «Alla luce della forza più debole delle attese», Moody’s ha così deciso di abbassare le stime sul Pil italiano nel prossimo biennio. Immediata la reazione del mercato, con lo spread Btp Bund, in rialzo a 276 punti subito dopo la diffusione della notizia.
La crescita dello spread, secondo Ignazio Angeloni, membro del Consiglio di vigilanza della Bce, potrebbe avere un effetto negativo sull’erogazione del credito e di conseguenza pesare anche sulla crescita economica futura. In un’intervista concessa alla rivista Euromoney, Angeloni ha affermato che «fino a questo momento lo shock negativo è stato assorbito senza che questo avesse un grosso effetto sul costo e l’offerta di credito, ma è difficile che continui così se lo spread crescesse ulteriormente».
Intanto ieri il presidente della Bundebank, Jens Weidmann, in una conferenza con la stampa estera ha affermato di «non escludere generalmente una maggiore condivisione dei rischi fra gli Stati membri, ma chi esplicitamente si esprime a favore della condivisione dei rischi deve anche essere pronto a cedere più sovranità giuridica ai livelli europei». Una posizione nuova per un esponente spesso annoverato tra i «falchi» della politica monetaria europea. Weidmann ha poi aggiunto che «il pesante fardello del debito pubblico va ridotto», sottolineando tuttavia che questa e il miglioramento della competitività e dei fondamentali di crescita, nell’ambito dell’eurozona, «sono sfide che ogni Stato membro deve affrontare individualmente».
Il banchiere tedesco ha anche sottolineato che «è tempo di uscire dalla politica molto espansiva e dalle misure straordinarie, soprattutto prendendo in considerazione i possibili effetti collaterali». Secondo Weidmann «gli esperti dell’eurosistema stimano il tasso di inflazione annuale fino al 2020 all’1,7%». «Dal mio punto di vista questo valore è assolutamente in linea con i nostri obiettivi di stabilità di medio termine».