La rete di 2.800 chilometri di Autostrade per l’Italia, di cui faceva parte il ponte Morandi crollato lo scorso 14 agosto a Genova con 43 morti e centinaia di sfollati, è uno dei business che compongono Atlantia, il maggiore gruppo infrastrutturale italiano. Nel gigante messo in piedi in oltre vent’anni dalla famiglia Benetton, ora travolto da una crisi senza precedenti, ci sono altre importanti partecipazioni come le autostrade in Brasile, Cile e Polonia, gli aeroporti di Roma e i tre della Costa Azzurra, Telepass, le società di costruzioni Spea e Pavimental, una quota nell’Eurotunnel. Queste partecipazioni valgono circa un terzo (2,6 miliardi) dei 5,97 miliardi del totale dei ricavi di gruppo. Da poco ha chiuso — a debito — l’acquisizione del 50,1% del gestore autostradale spagnolo Abertis. Ma la crisi del viadotto Polcevera sta mettendo a dura prova l’intero gruppo in Borsa.
La società, controllata al 30% dalla famiglia Benetton,ha perso in una settimana più di quarto del valore, passando da oltre 20 miliardi a circa 15 miliardi. Le valutazioni delle sue obbligazioni sono in calo. Le contestazioni del governo e l’avvio della revoca della concessione hanno messo sotto pressione l’azienda, tanto che le agenzie di rating Standard & Poor’s e Moody’s hanno ipotizzato un declassamento.
Quello del mercato è un altro dei tanti fronti aperti che il gruppo presieduto da Fabio Cerchiai — plenipotenziario dei Benetton nel consiglio insieme con Marco Patuano — e l’amministratore delegato Giovanni Castellucci, deve gestire. Così ieri la holding — che detiene l’88% di Autostrade per l’Italia (Aspi) dopo aver venduto a fine 2017 il 12% al fondo cinese Silk Road e ad Allianz-Edf — ha alzato il tiro contro il governo. In una nota ha fatto sapere di avere «avviato la valutazione degli effetti delle continue esternazioni e della diffusione di notizie sulla società, avendo riguardo al suo status di società quotata». Insomma le dichiarazioni dei vari esponenti della maggioranza che hanno parlato di nazionalizzazione, maxi risarcimenti, commissariamenti, decreti legge, avrebbero contribuito ad affossare il titolo danneggiando anche gli investitori istituzionali esteri — tra i quali il fondo sovrano di Singapore, Gic — e circa 50 mila piccoli azionisti.
Teoricamente questa «valutazione» potrebbe portare a un esposto in Consob. Ma nel fronte di Autostrade-Atlantia non si nascondono che sarebbe solo un ulteriore elemento di tensione. È piuttosto una pistola — non si sa quanto carica — messa sul tavolo, in attesa di una mossa dallo schieramento avversario. Una fonte autorevole vicina ai Benetton spiega che non è ancora il momento di aprire una trattativa con il governo, perché bisogna essere in due ad avere una volontà simile. Ma per adesso le parti non sono due, ma più di due: ovvero Lega e Cinquestelle, che hanno mostrato atteggiamenti e obiettivi molto diversi.In questo quadro, un’uscita di Castellucci viene esclusa per il momento, in attesa che la situazione si chiarisca. Cresce la pressione per le dimissioni di Cerchiai che è contemporaneamente presidente di Autostrade, Atlantia ed Edizione, la holding dei Benetton.
Intanto Atlantia deve fare i conti con la bomba sganciata dal governo: l’avvio della revoca (tecnicamente, «caducazione») della concessione ad Aspi da parte del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato dal pentastellato Danilo Toninelli. «È un fatto senza precedenti, i rischi sono significativi», commenta Moody’s. L’iter prevede tempi prefissati e, sulla carta, anche un indennizzo per gli anni che mancano alla scadenza naturale della concessione, al 2038.
Le stime sulla cifra da riconoscere alla holding variano enormemente. Si parla di circa 11 miliardi di euro, qualcuno azzarda fino a 22 miliardi. Solo che il governo appare intenzionato a non riconoscere indennizzi: troppo alti i danni provocati al sistema economico italiano. E questo pone una pesante ipoteca sul gruppo stesso. Ce la farà a sopravvivere Atlantia senza Autostrade e senza indennizzo?
Secondo alcune valutazioni delle banche d’affari, sì. Ma solo perché il debito — circa 8,2 miliardi sui 9,4 totali — è in capo alla stessa Autostrade e quindi passerebbe al governo e da lì al nuovo concessionario, sia esso Anas, Cdp o un altro gestore. Senza Autostrade, il gruppo resterebbe con Abertis (e il relativo debito) e con le altre partecipazioni: più piccolo ma ancora redditizio, con margini di circa il 47%. Eppure per Moody’s ci potrebbero comunque essere, nelle more della trattativa con il governo, pressioni sulla società: per risolverli, Atlantia potrebbe vendere pezzi, ridurre i dividendi o ricapitalizzare. Tutte soluzioni che si ripercuotono direttamente sui soci. A cominciare dai Benetton.