Per ampliare il raggio d’azione del salva-risparmiatori il fondo per i rimborsi avviato dall’ultima legge di bilancio punta a quota 500 milioni, dai 100 attuali. Per la risalita si lavorerà nella manovra d’autunno, con l’obiettivo di moltiplicare per cinque la dote iniziale. Non c’è un problema insormontabile di copertura, perché per raggiungere la nuova dimensione senza cambiare il calendario dei rimborsi servono 100 milioni all’anno: sarà però la declinazione operativa del meccanismo, e il suo obiettivo di rivolgersi agli azionisti oltre che ai titolari di obbligazioni, a impegnare i tecnici anche nel passaggio inevitabile a Bruxelles.
Per capire la questione serve un rapido riassunto delle puntate precedenti. L’avvio degli indennizzi ai risparmiatori colpiti dalle crisi delle banche venete e dei quattro istituti regionali (Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti) è stato scritto nella manovra 2018, che con un emendamento votato anche dall’opposizione ha messo a disposizione 100 milioni di euro in quattro anni. Lo stesso governo Gentiloni si era detto consapevole che le risorse erano necessarie per partire, ma non sufficienti per completare l’opera. La partenza però non è mai arrivata, perché il decreto attuativo preparato nei primi mesi dell’anno dal ministero dell’Economia guidato da Pier Carlo Padoan si è incagliato in un ping pong fra via XX Settembre e Palazzo Chigi proprio nella fase di passaggio dal governo vecchio a quello nuovo. Il premier Conte, a cui competeva la firma del provvedimento, aveva messo fin da subito i risparmiatori al centro dell’agenda politica (ne ha incontrato una delegazione durante le consultazioni), e ha spinto per rivedere un sistema di rimborsi giudicato insufficiente.
Come? A dare le prime indicazioni, parlando in audizione la settimana scorsa alla commissione Finanze della Camera, era stato il sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa (M5S). La revisione del fondo, ha spiegato il sottosegretario (che nella scorsa legislatura era stato commissario nella bicamerale d’inchiesta sulle banche), punterebbe ad avviare una forma di «rimborso universale, che comprende i vecchi azionisti». Ma non è solo un problema di platea. «Bisogna sburocratizzare le procedure necessarie a farsi riconoscere il diritto al rimborso» – aveva spiegato Villarosa a Montecitorio, sollevando anche l’esigenza di rivedere l’onere della prova soprattutto per chi ha acquistato i titoli prima dell’arrivo della direttiva Mifid a fine 2007; con le vecchie regole, infatti, gli obblighi di trasparenza erano più leggeri, e di conseguenza le prove di eventuali vendite fraudolente sono oggi più difficili da produrre.
Quella che si profila a questo punto è un’azione in due tempi, ma con qualche incognita. Nel passaggio al Senato il Milleproroghe estivo ha imbarcato il rinvio al 31 ottobre dei termini per varare il decreto di Palazzo Chigi che attua la manovra 2018. Il provvedimento dovrebbe quindi rappresentare solo l’avvio di un sistema di indennizzi che poi andrebbe modificato in manovra: non solo per cambiare le cifre aumentandole da 25 a 125 milioni all’anno, ma anche per rivedere regole e procedure. Il passaggio più delicato sarebbe l’estensione dei rimborsi anche agli azionisti: la vecchia regola l’aveva in qualche modo adombrata, utilizzando il termine generico di «risparmiatori» invece che quello specifico di «obbligazionisti», ma per tradurla in pratica bisogna confrontarsi con le regole europee che dalla direttiva Brrd in giù prevedono esclusioni mirate dalla «condivisione dei costi» (burden sharing) solo per le obbligazioni subordinate vendute in modo fraudolento.
Il dossier si riaprirà a settembre in tempo utile per l’appunatamento di fine ottobre con il nuovo Dpcm ma soprattutto con la legge di bilancio cui sarà affidato il compito di far crecsre la dote per risarcire i risparmiatori.