Lunedì scorso Medley Global Advisors, uno dei consulenti più seguiti dai grandi investitori, ha fatto circolare fra i clienti una nota sull’Italia. Il titolo: «On borrowed time». Vita a tempo preso in prestito, letteralmente. Come se un ritorno nelle rapide dei mercati fosse inevitabile e si trattasse solo di capire quando e per quale ragione in particolare.
Secondo la nota di Medley, l’innesco di una nuova scommessa speculativa al ribasso sull’Italia non dovrebbe comunque essere la legge di Stabilità,perché questa non sembra poter far salire il deficit pubblico. Non troppo in ogni caso, secondo Medley. Scrive il gruppo di consulenza basato a Londra: «Dopo molto rumore di fondo populista e vari test della pazienza dei mercati, il governo italiano dovrebbe approvare un bilancio che sarà complessivamente in linea con gli impegni dei suoi predecessori e con le richieste delle autorità europee». Fino a qualche settimana fa, non erano queste le previsioni più diffuse a Londra o a New York. Era facile trovare analisti e operatori disposti a credere che per rispettare le promesse la Lega o M5S avrebbero fatto esplodere il disavanzo da meno del 2% al 5% o 6% del Prodotto interno lordo (Pil). Gli investitori si preparavano già. Invece le ermetiche parole ufficiali distribuite dal ministro dell’Economia ieri dopo il vertice con i leader di governo sembrano dare ragione a Medley. Giovanni Tria parla di «accordo sulle linee del quadro programmatico proposte, che confermano la compatibilità tra gli obiettivi di bilancio illustrati in Parlamento e l’avvio delle riforme contenute nel programma». Il punto è dunque ciò che era già stato detto in Parlamento. Lì Tria il tre luglio aveva dichiarato che nel 2019 il debito pubblico deve scendere e non deve salire il deficit «strutturale», quello calcolato al netto delle oscillazioni dell’economia e di entrate di un solo anno come ad esempio un condono. Su questi impegni, dichiara Tria ufficialmente, ieri a Palazzo Chigi c’è stato «accordo» con Luigi Di Maio (M5S) e Matteo Salvini (Lega).
Mancano tutti i dettagli, naturalmente. Si tratta di capire come centrare gli obiettivi finanziando allo stesso tempo le promesse elettorali su pensioni, reddito di cittadinanza e cosiddetta «flat tax». Non sarà facile e molta incertezza o rumore di fondo fra i politici sulla struttura e l’impatto del bilancio non farà che agitare le acque sui mercati nelle prossime settimane.
Perché ciò che gli operatori stanno cercando adesso è l’esatto punto d’innesco per investire sull’Italia. Pochi di loro pensano abbia senso farlo puntando su un rialzo, cioè comprando titoli italiani come azioni od obbligazioni prima che salgano di valore. Moltissimi vorrebbero farlo puntando piuttosto su un ribasso, in vista di una caduta dei prezzi; ma queste sono operazioni da preparare con cura, perché care e rischiose: richiedono che si prendano in prestito da una banca d’affari i titoli da vendere poi allo scoperto. Sbagliare i tempi, non solo la direzione del mercato, può rivelarsi molto costoso.
Di qui il dibattito molto acceso quest’estate in privato fra decine di hedge fund e gestori di risparmio sui possibili punti di svolta sull’Italia. Tutti cercano di capire quale sia il segnale giusto per innescare uno «short», la scommessa ribassista che per la sua stessa dinamica — i titoli presi in prestito vengono subito venduti — fa cadere i prezzi e alzare i rendimenti dei bond. Farlo in questi giorni, con un mercato sottilissimo per assenza di liquidità, rende del resto più facile spostare i prezzi con uno sforzo minore.
Ieri e giovedì i segni tipici del ritorno di uno «short» sull’Italia si sono visti tutti. Non tanto e non solo nel rendimento del titolo di Stato a 10 anni, pure salito a metà mattinata oltre il 3%. Sono state soprattutto le obbligazioni pubbliche in scadenza tra due anni a rivelare la presenza dei ribassisti. I loro prezzi sono crollati, a causa di vendite massicce, e i rendimenti sono raddoppiati dall0 0,73% di martedì a una punta di 1,35% alle 16 di ieri. Il titolo a due anni è infatti un classico punto di attacco per chi fa uno «short» — come già in maggio — perché alzare quel rendimento accentua l’impressione di vulnerabilità della struttura di un debito. Certo per ora i ribassisti non potranno più appoggiarsi sull’idea di una manovra che fa saltare i conti. Ma possono farlo per esempio su un’economia che rallenta in modo preoccupante. Ieri Tria ha mosso un altro piccolo passo avanti. Ma è ancora molto lunga la strada del governo per rassicurare il mercato e creare fiducia fra i suoi molti creditori.