Scoprendosi in difficoltà nel realizzare molte delle sue promesse, il governo ha cominciato a occuparsi di argomenti su cui non ha diretto controllo. La nuova e stravagante ambizione dell’esecutivo riguarda la Banca Centrale Europea che, a detta del ministro degli affari europei Paolo Savona e del vicepremier Luigi Di Maio, dovrebbe modificare il suo statuto. Secondo Di Maio, la Bce «deve fare veramente la banca centrale europea e intervenire nell’economia di tutti i Paesi » . Per Savona, dovrebbe avere pieni poteri sul cambio e un ruolo autonomo di prestatore di ultima istanza.
L’idea di cambiare lo statuto della Bce è bizzarra per almeno quattro motivi. Prima di tutto c’è una questione di metodo. Il mandato della Bce — preservare la stabilità dei prezzi e, in subordine, favorire la piena occupazione — è sancito nei trattati europei. Se il governo italiano vuole cambiarlo, deve accordarsi con tutti gli altri Stati membri — certo non con un’audizione parlamentare o un’intervista. La Bce ha poi completa autonomia nel determinare la sua definizione di stabilità dei prezzi. Intimare al Consiglio Direttivo di modificare il suo obbiettivo vorrebbe dire violarne l’indipendenza, minandone la credibilità.
La seconda perplessità riguarda l’urgenza di questa richiesta. L’eurozona è tornata a crescere a ritmi incoraggianti, come dimostrano le ultime previsioni economiche della Commissione europea. Non c’è dunque un problema generalizzato di crescita tale da giustificare una modifica dello statuto della Bce. Piuttosto, le previsioni di Bruxelles dicono che nel 2018 e nel 2019 l’Italia sarà il Paese dell’eurozona che crescerà meno. Le politiche economiche del governo rischiano di rallentare ulteriormente questi ritmi già fiacchi. Se Di Maio volesse davvero aiutare la crescita italiana, farebbe meglio a concentrarsi su quanto sta accadendo a Roma, non a Francoforte.
La terza incongruità riguarda il ruolo della Bce nella crisi. Durante la presidenza di Jean- Claude Trichet, la Bce si è dimostrata troppo poco attenta alla crescita e incapace di agire da prestatore di ultima istanza. Tuttavia, l’arrivo di Mario Draghi ha risolto gran parte di questi problemi: la Bce ha adottato molti degli strumenti utilizzati dalle altre banche centrali, come il “quantitative easing”. È difficile sostenere che un mandato diverso avrebbe prodotto politiche diverse. Inoltre, la Bce ha già acquisito un ruolo di prestatore di ultima istanza, grazie al programma OMT (“ Outright Monetary Transactions”), che le permette di intervenire a difesa di un Paese sottoposto a un programma di aggiustamento. Molte delle obiezioni del governo sono dunque superate dalla storia recente.
Infine, non è chiaro se le modifiche ipotizzate dall’esecutivo siano realistiche o addirittura utili. Savona sembra immaginare una Bce in grado di intervenire da prestatore di ultima istanza anche senza un programma di aggiustamento. Questa proposta si scontrerebbe con le obiezioni di altri Stati, tra cui la Germania, che temono possa produrre comportamenti opportunistici. Chiedere alla Bce di usare come obbiettivo di politica monetaria il tasso di cambio è poi un’idea pericolosa, poiché provocherebbe una reazione uguale e contraria da parte delle altre banche centrali. Questa “ guerra delle valute” causerebbe grande instabilità sui mercati, senza produrre nessun vincitore. Il governo italiano può ovviamente provare a intavolare una discussione coi partner europei su come migliorare il mandato della Bce. Ma si tratta di un dibattito secondario rispetto alle esigenze dell’economia. L’impressione, piuttosto, è che l’esecutivo stia già cercando un modo per nascondere i propri fallimenti. La Bce è il capro espiatorio perfetto.