L’Italia rallenta, come segnalano la Commissione europea e la Banca d’Italia. Pesa l’ « incertezza politica», indicano sostanzialmente le due istituzioni. Senza contare che le prime valutazioni del cosiddetto «decreto dignità » sono preoccupanti. Come ha osservato Marco Leonardi, già consigliere economico di Gentiloni a Palazzo Chigi, nella Relazione tecnica c’è un’ultima sorpresa. Dal sapore assai amaro. Dopo le pressioni della Ragioneria il governo è dovuto venire allo scoperto e ha messo nero su bianco la risposta alla domanda: visto che il decreto si propone di ridurre la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato, dagli attuali 36 a 24 mesi, per disincentivarli, quanti contratti in meno prevedete? Ebbene una tabella nella Relazione tecnica, che dopo la “bollinatura” ha un aspetto “ normale”, dà una risposta clamorosa: per la prima volta gli effetti di un provvedimento sul mercato del lavoro danno un maggior numero di disoccupati, ovvero 8.000 all’anno.
L’effetto è immediato, dalla decorrenza da oggi del provvedimento in Gazzetta Ufficiale: tutti i contratti sopra i 24 mesi, oggi pari a 80 mila unità, non potranno essere rinnovati. Di questi, gradualmente, alcuni troveranno una nuova occupazione, altri saranno assunti a tempo ma, secondo la stessa “Rt”, il 10 per cento di essi, ovvero 8.000 dipendenti a termine, rimarrà a spasso. Tant’è che la relazione prevede per costoro l’attivazione della Naspi, la nuova indennità di disoccupazione e un ammanco di entrate.
Ma c’è di più. Il numero potrebbe più che raddoppiare se si tenesse conto, come nota sempre Leonardi, dell’effetto dell’introduzione delle « causali » per coloro che superano i 12 mesi contrattuali. I contratti a termine superiori a un anno, ma inferiori a due, sono attualmente 280.000. Gli imprenditori saranno disincentivati a rinnovarli, perché con le causali rischierebbero l’impugnazione in tribunale. Circa la metà, cioè 140.000, potrebbe dunque non essere rinnovata e di questi, seguendo lo stesso criterio della “ Rt”, circa 14.000 potrebbero non trovare lavoro. Di conseguenza, il decreto porterebbe alla distruzione di circa 22.000 contratti, seppure a tempo determinato.
Non è solo la «creazione di disoccupati » a mezzo di decreto illustrata nella Relazione tecnica a preoccupare l’Italia. Oltre alle questioni di finanza pubblica, con le quali sarà alle prese il ministro dell’Economia Tria fin dai prossimi giorni, c’è l’allarme sulla crescita. Nell’Eurozona c’è un rallentamento ( la Commissione ha appena ridotto la stima 2018 dal 2,3 di maggio all’attuale 2,1 per cento), poi c’è la questione dei dazi e l’aumento del prezzo del petrolio. Ma sia la Commissione sia ieri la Banca d’Italia nel “ Bollettino” sollevano il tema del ritorno del rischio politico. Via Nazionale parla di « riaccendersi dell’incertezza sulle politiche economiche » che potrebbe riflettersi sulla crescita del nostro paese. Qualcosa è già successo: Bankitalia ha ridotto dall’1,5 all’1,3 per cento la stima del Pil di quest’anno e, soprattutto, si è posizionata ai minimi della forchetta del prossimo a quota 1 per cento, la più bassa tra Fmi, Commissione e Ocse.
Il secontro trimestre crescerà solo dello 0,2 per cento: tra aprile e giugno c’è ristagno della produzione industriale, segnali poco favorevoli per consumi e automobili e calo della fiducia nel manifatturiero. E con la volatilità dei mercati pronta a esplodere a ogni intemerata sui conti, il rischio — ammonisce via Nazionale — è che a pagare siano famiglie e imprese, con costi di finanziamento più alti.