Non ha fatto scelte uniformi l’elettorato grillino che, domenica scorsa, si è trovato al ballottaggio con un candidato di centrodestra e uno di centrosinistra. Secondo una prima analisi svolta dall’Istituto Cattaneo sui flussi relativi a sette comuni capoluoghi di provincia (Pisa, Terni, Ancona,Teramo, Brindisi e Siracusa), l’alleanza di governo con la Lega non ha prodotto l’effetto univoco di convogliare i voti del M5S verso il centrodestra.
Più determinato sarebbe stato l’elettorato del centrosinistra che, in assenza di un proprio candidato, si è per lo più astenuto e comunque non ha votato (quasi) mai il centrodestra. Quanto a quest’ultimo, il dato che colpisce è piuttosto la forte astensione del suo elettorato rispetto al primo turno anche in presenza di un proprio candidato presente nella competizione.
Il bollettino finale dei 19 ballottaggi dei capoluoghi di provincia (più Ancona) intanto ne assegna cinque al centrosinistra (Brescia, Trapani, Brindisi, Ancona e Teramo), undici al centrodestra (Sondrio, Massa, Pisa, Siena, Viterbo, Ragusa, Catania, Barletta, Terni, Treviso e Vicenza); uno ai 5 Stelle: Avellino; tre a sindaci indipendenti da partiti e movimenti «tradizionali» e sostenuti da liste civiche: Imperia, Messina e Siracusa. Prima del voto, erano 14 quelli guidati dal centrosinistra; uno, Ragusa, governato dai 5 Stelle; quattro guidati da un commissario straordinario (Terni, Teramo,Brindisi e Trapani), mentre Messina era retta da un civico.
«Nell’affermazione del centrodestra — spiega Marco Valbruzzi, coordinatore dell’Istituto Cattaneo — non c’è un effetto-traino della Lega in quanto tale, quanto dei temi posti sul tavolo da Matteo Salvini che sembrano far presa su quell’elettorato». Il centrosinistra invece «viene penalizzato dall’essere partito tradizionalmente di governo, e perciò identificato, soprattutto dai grillini, come “forza di sistema”». Questo comportamento dei pentastellati sarebbe più evidente al Nord, nella «zona rossa», dove l’obiettivo di quelli che hanno dovuto scegliere è sembrato proprio quello di dare una spallata a chi è stato lungamente al potere, piuttosto che quello di aiutare il candidato del centrodestra, con una parte del quale schieramento è alleato nel governo. Tanto è vero che questo comportamento non emerge al Sud, dove il voto grillino in qualche caso si è spostato sul centrosinistra. «Circa il centrodestra, quel che colpisce — conclude Valbruzzi — è la forte astensione nel secondo turno fino al dimezzamento dell’elettorato rispetto al primo, come a Brindisi e Siracusa. Il fenomeno si spiega col fatto che, non essendoci più i voti di preferenza a trainare, il ballottaggio diventa un confronto secco tra due personalità».
Diverso il tipo di astensione dell’elettorato di centrosinistra che, sempre secondo il Cattaneo, in larga misura si sente estraneo alle sfide in cui non ha candidati e perciò non vota. Ma se lo fa, sceglie il M5S. «Il problema è che non avviene il contrario — attacca il professor Roberto D’Alimonte, politologo, direttore del Cise (Centro italiano studi elettorali) —: il Pd continua a scegliere candidati che non sono attrattivi oltre il proprio bacino elettorale, in particolare nei confronti dei grillini». Quindi più che un nuovo asse tra l’elettorato della Lega e quello del M5S sulla scorta della nuova alleanza di governo, c’è una mancanza di ultra-attrattività del Pd? «Ci sono entrambi gli elementi: la situazione è molto variegata. Ad esempio a Pisa, una città dove il tema dell’immigrazione è sentito, le posizioni oltranziste di Salvini potrebbero aver fatto presa su un più ampio elettorato». E altrove? «A Imola il M5S ha vinto perché il 75% dell’elettorato del centrodestra ha preferito un grillino a un candidato marcatamente Pd». E forse non sarà un caso che il Pd «vince» quando appoggia dall’esterno le liste civiche, come a Siracusa. «Quello delle liste civiche più o meno appoggiate all’esterno è un dato importante — sottolinea D’Alimonte —: questa volta hanno guadagnato venti Comuni, soprattutto al Sud».
Per Roberto Weber di Ixè, il Pd «deve abbandonare la logica dell’autonomia e ricostruire un fronte di alleanze» per provare a risalire la china. Quanto all’effetto del nuovo governo sul voto, Weber ammette che la Lega impedisce un collasso del centrodestra e che in alcuni casi, come Avellino e Imola, il centrodestra, preferendo il M5S al centrosinistra, segna la vittoria del primo. «Certo chi ha fatto passi avanti, mettendo a frutto la propria presenza nel governo, è senz’altro la Lega — concorda Nicola Piepoli, direttore dell’omonimo istituto — ma senza moltiplicare per venti il risultato. La mia impressione è che tutti e tre gli schieramenti abbiano confermato le loro posizioni. Non parlerei di un crollo del Pd ma di una fase “difensiva”. E quanto al M5S, starei attento a considerare esaurita la sua fase di espansione». Insomma la logica tripolare sembra tenere.
«Stando ai dati puntuali — interviene D’Alimonte — non è che il centrodestra abbia ottenuto una vittoria così ampia: aveva 23 Comuni su 109, ne ha 42; quanto al centrosinistra ne aveva 57, si ritrova con 31. Non dimentichiamoci che le amministrative del 2013 finirono con un “cappotto”». Sedici a zero. Per il Pd.