Lo scontro sull’immigrazione sta facendo passare in secondo piano un dibattito altrettanto importante per il futuro dell’Italia in Europa. Al Consiglio europeo di giovedì e venerdì, i capi di Stato e di governo discuteranno di come riformare la governance economica dell’eurozona, per evitare che si ripetano crisi come quella di inizio decennio.
L’Italia si presenta all’appuntamento con una tentazione: quella di porre un veto sulle riforme in agenda per tutelare un presunto interesse nazionale. Sarebbe una decisione miope e controproducente: l’Italia è tra i Paesi più vulnerabili dell’unione monetaria, a causa di un alto debito pubblico, di una bassa crescita e di bilanci bancari ancora pieni di crediti deteriorati. Solo un’architettura europea più coesa può metterci al riparo da nuove tempeste.
Le partite economiche che si giocheranno a Bruxelles sono sostanzialmente due. La prima riguarda il rafforzamento della cosiddetta “unione bancaria”, che ha spostato la supervisione e la gestione delle crisi dei principali istituti di credito dal piano nazionale a quello europeo. Questa struttura, imbastita nel 2012, è ancora incompleta: manca un supporto governativo (“backstop”) comune al fondo europeo che deve intervenire per aiutare gli Stati membri a gestire il fallimento controllato di una banca. Non c’è neppure una garanzia comune sui conti correnti, che limiti il rischio di fughe di capitali in caso di crisi.
La seconda sfida concerne il rafforzamento degli strumenti di solidarietà di bilancio, che permettano a uno Stato di attingere a risorse comuni in un momento di difficoltà. Un fondo simile esiste: è il Meccanismo europeo di stabilità, che è già intervenuto in Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro, quando questi Paesi hanno perso accesso al mercato dei capitali. A Bruxelles si discuterà di come rendere questo meccanismo più flessibile, permettendogli ad esempio di concedere credito senza chiedere in cambio austerità e riforme. Inoltre, si negozierà su come creare un bilancio comune dell’eurozona, che possa finanziare, ad esempio, sussidi di disoccupazione quando uno Stato dovesse subire uno shock economico.
La cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno presentato una posizione comune (“ la Dichiarazione di Meseberg”) che farà da architrave alle discussioni del Consiglio europeo. La proposta è meno ambiziosa di quello che oggi servirebbe all’Unione: Francia e Germania vorrebbero rimandare ancora il negoziato politico sulla creazione di una garanzia comune sui conti correnti e immaginano un rafforzamento del fondo di risoluzione bancario che dia un ruolo significativo ai parlamenti nazionali. Questo finirebbe per complicarne la gestione, che invece dovrebbe essere estremamente rapida.
Berlino e Parigi si aspettano inoltre che al rafforzamento degli strumenti di solidarietà si accompagni un’ulteriore riduzione dei rischi negli Stati membri. Questo vuol dire, ad esempio, una nuova stretta sui crediti deteriorati ancora presenti nei bilanci bancari e meccanismi più agevoli di ristrutturazione del debito sovrano in caso di crisi.
La tentazione del premier Giuseppe Conte (e, in fase di preparazione, del ministro dell’Economia Giovanni Tria) potrebbe essere quella di bloccare tutto a causa di queste misure di riduzione del rischio. Così facendo soddisferebbero due forme di sovranismo: quello populista, che chiede, quasi a prescindere, un gesto forte contro l’Europa; e quello istituzionale, che da anni si batte per rallentare la riduzione dei crediti deteriorati e per ostacolare possibili meccanismi di ristrutturazione del debito. Entrambe queste idee devono essere congegnate attentamente, per evitare che producano effetti immediati di instabilità finanziaria. Tuttavia, sono contropartite accettabili, se inserite in un quadro di riforma davvero ambizioso.
La partita italiana si gioca dunque nel chiedere meccanismi di solidarietà più forti di quelli proposti da Merkel e Macron. La linea deve essere quella proposta a più riprese dal presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi: completamento dell’unione bancaria e creazione di un bilancio dell’eurozona, di dimensioni limitate, in grado di aiutare gli Stati membri quando si trovino in difficoltà. Un veto sovranista sarebbe controproducente. Conte si batta per un compromesso al rialzo, non al ribasso.