Le università italiane che, con una visione di lungo periodo, hanno investito risorse e capitale umano in attività di trasferimento tecnologico sono state premiate.
L’evidenza arriva da due classifiche distinte, accomunate però dal medesimo ordine di arrivo. Da una parte, la graduatoria del Mise con i primi otto Competence center ammessi alla selezione per il finanziamento, per ognuno dei quali è stata individuata un’università capofila. Dall’altra, la «top 5» degli uffici universitari per il trasferimento tecnologico (Utt) più attivi in Italia, pubblicata ad aprile nell’ultimo rapporto Netval (Network per la valorizzazione della ricerca universitaria). In entrambi i casi, compaiono i Politecnici di Torino e Milano, la Scuola Superiore Sant’Anna, l’Università di Bologna e l’Università di Roma La Sapienza.
«La sovrapponibilità di queste due classifiche – spiega Andrea Piccaluga, presidente Netval e professore di Management dell’innovazione presso la Scuola Superiore Sant’Anna – ci dice che il Piano Mise-Calenda sui Centri di competenza rafforzerà ulteriormente e in modo mirato un sistema di relazioni tra università e industria che già esiste, e dove già oggi si fa ottima ricerca e trasferimento tecnologico». La novità, rispetto ad altre esperienze passate, è che «il Piano mette le università al centro del processo di trasferimento tecnologico e le responsabilizza», aggiunge Piccaluga.
Sul piatto ci sono 73 milioni di euro: ogni Centro ammesso sulla base dei requisiti dovrà ora avviare la fase di negoziazione con il Ministero, durante la quale saranno analizzati i progetti, cui seguirà un decreto di concessione dei fondi.
Le università capofila traineranno anche gli atenei con meno tradizionesul fronte del trasferimento tecnologico, che però sono saliti a bordo dei diversi centri di competenza, come partner pubblici. «Questi atenei potranno fare tesoro dell’esperienza maturata dalle università pioniere – nota Piccaluga – e ciò potrebbe favorirà una aggregazione su scala regionale del trasferimento tecnologico: grazie al Competence center gli atenei saranno felicemente obbligati a lavorare insieme». Accade nel Nord-Est, nel network che si è aggregato intorno all’Università di Padova. Oppure in Emilia Romagna,con al centro l’Università di Bologna. Mentre a Pisa il network ha estensioni anche extra-regionali, con soggetti aderenti provenienti da sette regioni diverse. La rilevanza regionale o nazionale aiuterà i centri ad evitare i rischi del “localismo”: a livello locale, infatti, non sempre si riesce a favorire un incrocio tra la domanda e l’offerta.
Ancor più esteso l’orizzonte dell’approccio scelto dal Politecnico di Milano, che punta sull’internazionalizzazione e sul forte legame con le grandi imprese, anche straniere. Questo anche per evitare che l’attività del futuro Competence center entri in concorrenza con quella, già molto intensa, dell’ufficio per il trasferimento tecnologico del Polimi, “luogo” deputato al passaggio di conoscenze tra l’accademia e le imprese. «Il Competence center che sorgerà alla Bovisa – spiega Ferruccio Resta, rettore del Polimi – sarà un hub per far incontrare le imprese con altre imprese. Pensiamo anche a dei “mirror”, delle strutture satellite da creare vicino alle realtà industriali che ne avranno bisogno. Anche all’estero, perché siamo convinti che la capacità di fare impresa dell’ingegneria made in Italy possa essere esportata con successo».
I Centri di competenza, una volta a regime, dovranno essere dei sorvegliati speciali, perché dall’analisi della loro attività potrebbe emergere una capacità di innovazione da parte delle imprese italiane che oggi sfugge alle classifiche ufficiali. Il monitoraggio di questi poli, nati con una mission chiara – fornire servizi alle Pmi per favorirne il processo di trasformazione digitale – potrebbe dare la conferma che esiste un’attività di trasferimento tecnologico non catturata dalle statistiche, perché il nostro manifatturiero è molto frastagliato e ha la sua forza più nei processi e nello scambio di conoscenze, che nei prodotti.
«È così – conferma il rettore del Polimi -. Non necessariamente il trasferimento tecnologico produce startup o nuovi prodotti. Esiste un valore che sfugge alle statistiche perché intangibile, che è quello della collaborazione con le imprese e tra le imprese. Proprio perché il nostro tessuto imprenditoriale è particolare, questo legame va valorizzato e messo a sistema. È in questa logica – ribadisce Resta – che si disegna il compito del Competence center: dar vita a una struttura pensata per supportare la trasformazione digitale delle aziende. Non laboratori accademici, ma uno strumento delle imprese e per le imprese».
Nei prossimo giorni il Polimi convocherà a Milano i partner pubblici e privati che daranno vita al centro battezzato «Made in Italy 4.0».Convocazione che si è già tenuta a Pisa due giorni fa, quando presso la Scuola Superiore Sant’Anna a Pontedera si sono ritrovati i rappresentanti dei 13 enti universitari e di ricerca e dei 146 partner privati che daranno vita al Centro di competenza «Artes 4.0», focalizzato sulla robotica. «Già da questo primo incontro – spiega Paolo Dario, direttore dell’Istituto di BioRobotica e coordinatore della proposta – abbiamo avuto la conferma di poter contare su un grandissimo bacino di competenze e tecnologie da offrire alla crescita competitiva italiana».