La promessa è: nessuna retorica. Né meridionalista né anti-meridionalista. Né «piccolo è bello», né «grande è meglio». Parlano i risultati, i fatti, gli imprenditori. Nomi sconosciuti, finora, aziende spesso mai nemmeno sentite nominare. Eppure sono quelle che hanno contribuito a mantenerci a galla negli anni della Grande Crisi e a farci afferrare con forza la ripresa, quando è arrivata, perché non hanno mai smesso di investire e hanno saputo innovare, guadagnare, crescere. Anche quando tutto crollava. E sì: anche al Sud. Per cui è lì, nel Mezzogiorno, che L’Economia del Corriere della Sera ha scelto di chiudere il suo primo viaggio tra i 500 Champions scoperti qua e là per la Penisola. Napoli, dove abbiamo incontrato chi dimostra (di nuovo: con fatti e numeri) come non sia un azzardo l’affermazione-sintesi della giornata («Il Sud genera futuro»), è per mille ragioni il punto d’approdo ideale di un percorso incominciato quattro mesi fa.
Agli inizi, giusto con qualche «assaggio» della classifica elaborata dall’ufficio studi di ItalyPost: base di partenza tutte le 14.632 piccole e medie imprese (quelle con fatturato tra i 20 e i 120 milioni), punto d’arrivo la «hit» dei top performer derivata dall’analisi di sei anni di bilanci. Da lì siamo passati alla presentazione della classifica completa: 16 marzo, in Piazza Affari, primo compleanno di L’Economia festeggiato insieme ai Champions e con il numero speciale a loro dedicato. L’avevamo intitolato «Futuro Italia». Il logo che ha contrassegnato sia quell’evento, sia le pagine dedicate poi alle dieci tappe del tour nei territori» aveva però un punto di domanda. Ci chiedevamo: «L’Italia genera futuro?».
I numeri delle nostre migliori piccole e medie aziende dicevano di sì: insieme, i 500 Champions sarebbero il secondo gruppo industriale italiano per ricavi (21,7 miliardi nel 2016, per il 2017 le proiezioni danno altra crescita a due cifre), con una redditività e un tasso di rendimento del capitale che a volte nemmeno i big del lusso, per esempio, riescono a raggiungere (19% gli utili industriali lordi medi negli ultimi tre esercizi, 19,5% il ritorno annuo sul capitale dal 2010 in poi).
Neppure i numeri, tuttavia, da soli dicono tutto. Di quella crescita servivano le storie. Di quelle storie servivano i volti. Le abbiamo cercate in questi mesi, insieme a ItalyPost. E alla fine del lungo reportage il punto di domanda è sparito. Sì, c’è un’Italia che cresce, vince all’estero grazie al mix tra innovazione e abilità artigianali che solo il made in può offrire, guadagna, reinveste gli utili, e così facendo non solo «genera futuro»: lo moltiplica. E sì: anche «Il Sud genera futuro».
Il titolo della giornata napoletana a qualcuno apparirà provocatorio. Un po’, forse, lo è. Ma, più di qualsiasi altra cosa, è uno spunto. Con la presidente di Enel Patrizia Grieco, il presidente di Adler Group Paolo Scudieri, il fondatore di Engineering Michele Cinaglia, e soprattutto con i protagonisti delle tante piccole-grandi storie di sconosciuto successo, abbiamo raccontato un modello che non è né del Sud né del Nord: è semplicemente virtuoso e vincente.
Dopodiché, poiché è chiaro che «giù» è più complicato (e infatti su 500 Champions appena 37 vengono dal Meridione), magari tornerà utile sapere che non sempre Mezzogiorno è sinonimo di assistenzialismo, illegalità, finanziamenti pubblici bruciati chissà dove e nelle tasche di chissà chi. Ci sono aziende — nell’alimentare, nel tessile, nei poli dell’automotive o dell’aerospaziale nati attorno a Fca e ad Alenia-Leonardo (ora con qualche problema) — che creano sviluppo reale e pagano stipendi «produttivi». E questo sì, diventa un modello speciale: da contrapporre a chi, guardando a Sud, vede solo chi corre a chiedere sussidi o punta sul reddito di cittadinanza.
*Corriere della Sera, 14 giugno 2018