Per i sindacati dei trasporti che si propongono di tutelare il lavoro dei camionisti è stata una prima clamorosa sconfitta. La competente Commissione del Parlamento europeo ha votato nell’ambito del cosiddetto mobility package e a schiacciante maggioranza un provvedimento che le organizzazioni hanno definito «indegno» perché andrebbe «contro i valori su cui si è fondata l’Europa». Il riferimento è alla normativa continentale sull’orario di lavoro degli autisti di Tir e di bus a lunga percorrenza, che Strasburgo vuole modificare aumentando i tempi di guida e riducendo quelli di sosta. Se oggi un autista deve osservare 45 ore di riposo almeno entro le due settimane continuative di servizio, nel caso in cui l’assemblea plenaria degli euro-parlamentari ratificasse il voto della Commissione il riposo di 45 ore verrebbe diluito nell’arco di 4 settimane. Il rischio che ne viene fuori, e che i sindacati denunciano con forza, è che lo stesso autista finirebbe per sostenere un turno continuativo di venti giorni intervallato da due soste di sole 24 ore. «Se il voto della commissione venisse confermato — spiega Maurizio Diamante, segretario nazionale della Fit-Cisl — il risultato sarà che tutti gli autisti staranno al volante per più ore. E in più quando lavorano fuori dal proprio Paese, come capita sempre più spesso, con la riduzione delle soste finirebbero per vivere per settimane sul loro camion. Strasburgo sceglie di peggiorare le condizioni di lavoro e aiutare il dumping sociale e non va bene».
Le conseguenze della modifica degli orari sono duplici, da una parte colpiscono i lavoratori dipendenti dell’autotrasporto e dall’altra si scaricano sugli utenti della strada perché aumentano la pericolosità. «Già oggi i camionisti conducono vite estreme — aggiunge Diamante — guidano anche 18 ore al giorno mangiando e dormendo negli stessi Tir». Sempre secondo la ricostruzione di parte sindacale è stata la lobby dei Paesi dell’Est (Bulgaria, Romania e Polonia) da sempre favorevole alla massima liberalizzazione a sostenere la decisione dei commissari approfittando del semestre di presidenza bulgara. La Germania, grande produttrice di veicoli pesanti, si sarebbe disinteressata della querelle perché ormai la gran parte degli autisti delle sue ditte è di nazionalità polacca.
Le proteste di Italia e altri Paesi tra cui la Francia non hanno avuto seguito e anche la manifestazione unitaria dei sindacati europei di categoria che si è svolta il 29 maggio a Strasburgo non ha contribuito a cambiare i rapporti forza. Gli autisti italiani sono circa 400 mila ma Diamante sostiene che è in corso un massiccio processo di sostituzione da parte di lavoratori provenienti dall’Est che non sono sindacalizzati, costano meno e possono stare lontano dai propri Paesi di origine «senza fare tante storie».
I riflessi dell’allungamento dei turni di lavoro sui rischi di incidenti non possono essere dimostrati con statistiche dirette ma è evidente la forte correlazione che dovrebbe preoccupare non solo le organizzazioni sindacali. Un regime di dumping di fatto si accompagna sempre a una riduzione e scarsa efficacia dei controlli. «Per questo motivo sosteniamo l’importanza di introdurre il tachigrafo intelligente — conclude Diamante — che geolocalizza il mezzo pesante e facilita i controlli. In più evita che i camion dell’Est, pur di non tornare a casa vuoti, facciano ulteriore concorrenza sleale alle ditte virtuose. Ma anche in questo caso la commissione di Strasburgo non ha accettato le nostre richieste di anticiparne l’obbligatorietà sui Tir».