Né con l’euromarco né con la liretta. Né fuori dell’Unione Europea né dentro alle condizioni odierne. È questo il perimetro reso esplicito dalla moral suasion di Sergio Mattarella entro il quale dovrà muoversi il nuovo governo pentaleghista nell’interesse dell’Italia. E non solo per rispetto formale dei trattati europei dei quali il Presidente della Repubblica è supremo garante.
Non fuori dell’Unione Europea per l’impossibilità di salvarsi da soli dal sempre più evidente «disordine globale». Non dentro una UE che non sappia assumersi il ruolo «sussidiario» necessario a rilanciare la crescita in «tutta» l’Unione e ad affrontare il problema epocale dei flussi di rifugiati e di migranti economici che premono alle sue frontiere esterne. Siamo in un mondo nel quale gli USA di Trump stracciano trattati come quelli che governano il commercio internazionale (con i nuovi dazi USA su acciaio e alluminio che si fanno già sentire anche nel nostro Nordest) o quelli (accordo di Parigi) che coordinano la lotta ai cambiamenti climatici o (accordo sull’Iran) tendono a stabilizzare il pericoloso quadrante mediorientale. Un mondo nel quale la Cina usa il soft power della Via della Seta per occupare gli spazi di influenza lasciati scoperti dagli Usa ma anche l’hard power nel costruire basi militari nel mar cinese meridionale a dispetto di ogni regola internazionale.
Un mondo nel quale la Russia è uscita dall’angolo per riannettersi la Crimea e, colpendo l’Ucraina, «educare» i vecchi satelliti sovietici ed oltre.
Un mondo che non può piacere a paesi come l’Italia la cui prosperità dipende sempre più dalla capacità di conquistare e mantenere mercati globali. L’Italia ha bisogno di un mondo nel quale i rapporti di forza siano almeno imbrigliati in un quadro stabile di regole e trattati. Solo l’Unione Europea può,se lo vorrà e saprà, garantire prosperità e sicurezza anche all’Italia mostrando sia i muscoli sia il buon senso nel confronto gli Stati Uniti d’America, Cina ed ogni altra potenza. Qui il «prima gli Italiani» si consegue solo evitando di schierarsi dentro l’Unione Europea con i miopi sovranismi di Ungheria e Polonia. Un segnale decisivo per far capire al mondo dove sta, su questo tema, l’Italia anche dopo il «cambiamento» pentaleghista.
Tutte da trovare invece le alleanze interne alla UE per ridefinire una politica economica comune che si dia carico della crescita in tutta Europa,che nel nostro caso significa occuparsi della definizione di un sentiero concordato di sviluppo non strozzato in culla dal carico del debito pubblico.
Sta a noi far capire ai partner continentali che è, in questo caso, il «prima gli europei» a richiedere la condivisione della soluzione del problema della finanza pubblica italiana. Un atteggiamento simile, ancor più necessario ed evidente, da applicare al caso della crisi dei rifugiati: la riforma del trattato di Dublino che responsabilizzi l’Unione sul tema è la cartina di tornasole della capacità dell’Europa di mostrare le virtù della maggior integrazione contro le tentazioni sovraniste. O, in caso negativo, l’inizio di una crisi istituzionale europea dagli esiti non prevedibili.
Dunque, né fuori dell’UE né con una UE così poco «forte ed equa», per sottolineare con le sue parole gli obiettivi di Paolo Savona, nuovo ministro per gli affari europei. Il Consiglio europeo di fine giugno ci darà prime, importanti, risposte.