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Il luogo dell’incontro è un vecchio laboratorio artigiano ristrutturato da cima a fondo. Una specie di cripta, sotto una vetrata trasparente, con travi a vista e acciaio inox dapper- tutto. Gli arredi ultima generazione sono di Arclinea, ma fra piani in acciaio, pensili capienti, pentole sofisticate spicca un tilbury sul quale è sistemato Freddy, l’ultimo congegno. Si tratta dell’abbattitore rapido di temperatura prodotto dalla Irinox, presentato dalla titolare dell’azienda a una dozzina di giornalisti di grido. Dolce, sottile, elegante, Katia Da Ros è la figlia di Florindo, il prodigioso gelataio di Conegliano Veneto, emigrato in Germania con in tasca solo la quinta elementare e fondatore di un’azienda leader sul mercato mondiale dei prodotti per ristorazione, concupita oggi dal- l’industria americana.
L’attrezzo sembra un forno a microonde. Elegantissimo, interamente rivestito d’acciaio, dentro ha un sondino che si infila in un cosciotto di agnello, o in un pesce, o in qualsia- si altro alimento. È un sistema ipertecnologico tuttofare, le cui funzioni, sebbene ancora ignote al largo pubblico, sono considerate indispensabili da chi le conosce. Collegato a una centralina elettronica, serve a raffreddare, surgelare gli alimenti, farli lievitare, cuocerli a bassa temperatura e riscaldarli. Il raffreddamento rapido blocca la proliferazione dei batteri, garantendo la commestibilità dei piatti e mantenendo le proprietà organolettiche degli alimenti. «Vedete questa bistecca?», domanda Alba Pezone. «Se la mettete in freezer e la scongelate, vi ritrovate un pezzo di carne nel suo lago di sangue. Con Freddy, invece, non perde nemmeno una goccia». Il miracolo sta nell’abbattimento rapido e nello scongelamento controllato, che fa passare in modo uniforme i cibi dal freddo al caldo. E infatti, spiega Katia Da Ros, il processo di con- gelamento avviene lentamente, formando macrocristalli di ghiaccio che provocano la perdita di gran parte dei liquidi e dunque delle proprietà nutrizionali. Mentre l’abbattitore attiva un processo di surgelazione rapida, che passa in mezz’ora da 90 a 18 gradi sottozero, producendo microcristalli come la neve che mantengono intatte le membrane cellulari e le fibre degli alimenti. Dove non arriva l’occhio nudo, interviene il microscopio. Ed ecco le foto che mostrano i germi di una fettina di arrosto raffreddata a temperatura ambiente: dopo cinque giorni tanti pallini neri coprono quasi tutta la super- ficie del vetrino, mentre lo stesso campione, surgelato con Freddy, mostra solo tre pallini. Si capisce allora come mai i fanatici dell’alimentazione corretta considerino l’abbattitore termico uno strumento irrinunciabile. Patiti dei cibi sani, yuppy con la mania del chilometro zero ma poco tempo a disposizione, sono oggi gli apostoli di questo nuovo miracolo dell’elettronica, che consente di cucinare grandi quantità di cibo e conservarle per settimane in piccole porzioni, mante- nendone intatti gusto e fragranza.
Tra un prosecco ghiacciato e un filetto di tacchino marinato al limone, la dimostrazione continua a tavola fra lo stupore dei rappresentanti di Arclinea e dei redattori di varie testate. L’ambiente è informale, l’attenzione è alle stelle. Alba Pezone parla francese con cadenza napoletana, e da manager-massaia esalta le prodezze di Freddy, insistendo sul risparmio di tempo, di soldi, di sprechi alimentari, oltreché di intossicazioni da germi e batteri. L’idea di produrre abbattitori in miniatura per uso domestico è di Katia Da Ros, la figlia del fondatore della Irinox. Bocconiana, master in Business Administration a Harvard, la signora veste chicchissime combinazioni in cachemire di Loro Piana. Un mese dopo il master è entrata a lavorare come export manager nell’azienda fondata dal padre quindici anni prima, la terza della serie, specializzata in macchine da raffreddamento professionali, destinate a cuochi, ristoranti e pasticceri. Sua l’idea di creare una nuova divisione per produrre abbattitori per uso personale. Suo il progetto di sviluppare un utensile che serve a preparare, stoccare e consumare poi gli alimenti, creando così una nuova cultura nell’a- limentazione. Nel 2005 è nato Freddy, macchina compatta da incasso. Dieci anni dopo Fresco, abbattitore da appoggio ancora più compatto, e a prezzo contenuto. «Noi siamo dei visionari», dice Katia senza modestia. «Gli americani negli anni venti hanno inventato il frigorifero e l’hanno portato in Europa. Noi abbiamo inventato l’abbattitore di temperatura, e speriamo di portarlo in America».
E a questo punto bisogna ricordare la storia del padre di Katia, Florindo Da Ros, genio umile e determinato, capace di inventare dal nulla e andare avanti senza fermarsi mai. Il fondatore di Irinox è un ex gelataio di Tarzo, nel trevigiano, che inizia a lavorare a tredici anni, vendendo frutta in bicicletta fra le montagne del bellunese. Dalla bicicletta passa all’Ape Piaggio e dall’Ape al camioncino. Siamo negli anni cinquanta. L’economia del dopoguerra riparte e cresce con il boom. L’industria si rin- nova e la fortuna è dietro l’angolo. Florindo scopre che tanti bellunesi emigrano in Germania, facendo fortuna col gelato. A vent’anni decide anche lui di cambiar vita. Lascia la frutta e parte alla volta di un paesino vicino a Francoforte, dove as- sume una persona e apre una gelateria, senza sapere neanche una parola di tedesco. Per quindici anni lavora in Germania come emigrato stagionale, da febbraio a ottobre; mette da parte una discreta fortuna, finché un bel giorno, quando la figlia finisce le elementari, vende tutto e torna in Italia per mettersi in proprio. «Quando fai l’emigrante, il cuore ce l’hai sempre dove sei nato», dirà senza emozione raccontando la sua vita il giorno dell’inaugurazione della cucina dell’Istituto di cultura. Torna dunque a Scomigo, fonda con un socio la Lainox, sua prima azienda. Dieci anni dopo la vende e fonda l’Artinox, che produce semilavorati in acciaio per la Lainox e forni speciali a vapore, inventati dai tedeschi, per assicurare una prestazione più veloce e delicata nella cottura dei cibi. Il passaggio dal caldo al freddo per lui avviene naturalmente nel 1989. Si tratta sempre di lavorare sulla temperatura, sia per cucinare sia per mangiare meglio.
Oggi la Irinox di Scomigo esporta in 85 paesi del mondo, ha un fatturato di circa 30 milioni di euro all’anno. Per un’azienda che investe moltissimo in tecnologia e ricerca, vedersi offrire una vetrina a Parigi, dall’Istituto italiano di cultura, è un invito a nozze. Nel giro di una settimana raggiungiamo l’accordo. La Irinox dona all’Istituto di cultura non solo Freddy, ma anche Zero, la macchina per il sottovuoto, per conservare cibi crudi o cotti sottovuoto, evitandone l’ossidazione. In cambio, l’Istituto di cultura mette a disposizione della Irinox i locali della nuova cucina nell’ala Varenne per un certo numero di eventi a fini promozionali, con annessa dimostrazione.
Una volta garantito il contributo della tecnologia italiana con alto valore aggiunto, bisognava cominciare a pensare seriamente agli arredi per la cucina. La cosa avvenne per caso, il nome che diamo agli eventi quando Dio agisce in incognito, con l’entrata in scena di un uomo chiave nel rinnovamento dell’Hôtel de Galliffet, che quella sera partecipava alla dimostrazione nell’atelier di Alba Pezone.
Beppe Cerutti era seduto accanto a me. Tondo, compatto, una bella erre moscia lombarda, l’agente della Irinox per la Francia è un ottimo intenditore di vini. Anche lui, come Katia Da Ros, ha sentito parlare del nostro progetto di riqua- lificare l’offerta dell’istituto, federando una serie di imprese di eccellenza per coinvolgerle direttamente nella promozione della cultura. Anche lui è affascinato dalla definizione di cultura italiana che rompe i confini tra il teatro e l’artigia- nato, tra la letteratura e l’impresa, tra l’opera lirica e l’alta tecnologia, in nome di un concetto espanso, dilatato, che unisce saperi diversi e competenze lontane tra loro anni luce: «Che cos’è la cultura italiana? Una lampadina accesa nella testa di ogni italiano, fabbro, o regista, poeta o ingegnere, falegname o compositore, di cui spesso non siamo neanche consapevoli, ma che permette di trovare soluzioni nuove, semplici, eleganti per problemi complessi. È il nostro dna, il nostro ingegno, il nostro orgoglio nazionale, che merita solo di essere riconosciuto e difeso». Quando inizio a parlargli del nuovo ambizioso programma dell’Istituto di cultura, degli ostacoli e delle difficoltà da superare, dei passi falsi del tipo «la cucina italiana è dignità», Cerutti subito si sintonizza. È un tipo brusco, di poche parole, ma attentissimo. Promette per l’indomani un passaggio in istituto.
Scoprirò un altro personaggio leggendario. Una di quelle formichine operose come se ne incontrano in tutte le province d’Italia, che muo- vono milioni, mobilitando energia, battendosi a mani nude pur di raggiungere un obiettivo, senza mai darsi per vinte, sempre pronte a ricominciare daccapo, non dando mai nulla per scontato. Cerutti ha due mestieri: da un lato si occupa di distribuire i più bei marchi italiani del design, dall’altro è consulente strategico di varie aziende, a cominciare da Zanotta, marchio storico nella produzione di mobili di design. Orfano di padre a vent’anni, è un perito chimico che ha dovuto ingegnarsi per continuare il commercio di vini e acque gasate aperto dal padre a Cellina, paesino sul lago Maggiore famoso per uno splendido eremo che esiste sin dal Medioevo. Al design è approdato dopo varie peripezie, pas- sando dal vino al marketing di cibo per cani e gatti, e poi alla birra Peroni, finché un bel giorno si è messo a lavorare per l’azienda della sorella, che costruiva chalet in Valle d’Aosta, incontrando finalmente «il suo prodotto». La prima azienda fondata con un paio di soci vende prefabbricati. Siamo a metà degli anni settanta. Oltre le strutture di legno, le murature in mattone, i pannelli termici d’avanguardia, questi prefab- bricati vanno non solo costruiti, ma arredati. La lampadina gli si accende per caso un giorno in costa Azzurra, mentre guarda la vetrina di un negozio di arredamento nel centro di Cannes, in rue d’Antibes. «Quella vetrina era piena di vecchi mobili in ottone», ricorda oggi Cerutti, e fu per lui l’interruttore. «Cavolo, vengo subito a lavorare qui in Francia: in Italia di case ne vendo una alla settimana, ma non riesco a metterle su, perché servono mille autorizzazioni, mentre per vendere arredamento serve poco o niente».
Anche Cerutti, come Florindo Da Ros, decide dunque di emigrare per vendere in Francia mobili di design prodotti in Italia. Anche lui parte alla ventura, senza sapere una parola di francese, sfidando il senso del ridicolo e l’ilarità dei suo interlocutori. Ma la fortuna premia gli audaci, e dopo un paio d’anni Zanotta gli propone di diventare il suo agente in Francia: seguiranno all’inizio degli anni ottanta altri due marchi prestigiosi, FontanaArte, che produce lampade, e Cappellini, mobili per arredo. Trent’anni dopo, l’idea di associarsi all’Istituto di cultura in un’opera di mecenatismo di competenza lo seduce. Capisce subito il vantaggio reciproco che questo può rappresentare per le imprese private e l’istituzione pubblica. Dopo un rapido sopralluogo nei locali destinati alla cucina, una visita nel salone degli specchi, negli uffici della segreteria e nei nuovi vani concessi all’Istituto di cultura dall’ambasciatore Caracciolo, «vi aiuto io», annuncia senza incertezze. «Non solo per la cucina, ma anche per tutti gli altri spazi, stabilendo rapporti diretti con una serie di altre aziende di eccellenza nel campo del design, della fornitura per uffici, dei mobili per la casa».
Pragmatico, ma del ramo visionari, Cerutti si mette subito al lavoro. Il primo contatto è con l’amministratore delegato di Boffi, Roberto Gavazzi. L’incontro avviene nell’hangar senza fine di Villepinte, dove ogni anno migliaia di imprese accor- rono per esporre i loro prodotti alla fiera di Maison&Objets, corrispettivo parigino del Salone del Mobile. Gavazzi è un tipo affabile, gentile, educato, molto Milano bene. È alla testa di un’azienda famosa che produce le cucine più belle del mondo, fabbricate su misura in Brianza per una clientela di lusso. Mobili ipertecnologici, destinati per lo più all’esportazione e venduti in tutto il mondo. L’azienda nel 2012 ha un fatturato in crescita, pari a 66 milioni di euro. È vero che a Parigi uno dei loro negozi di culto si trova già in boulevard Saint-Germain, a pochi metri dall’Hôtel de Galliffet. Ma l’idea di poter associare il suo marchio al logo dell’Istituto di cultura tenta l’ad. Dunque anche lui viene subito in visita all’Hôtel de Galliffet, una domenica mattina, e resta abba- gliato dallo splendore del palazzo, dai volumi sontuosi, dagli spazi monumentali nei saloni di rappresentanza. E però… hai voglia a descrivergli i due vani dell’ala Varenne, con l’affaccio sul cortile, destinati alla nuova cucina. Hai voglia a mostrargli qualcosa che ancora non si vede, come i corsi di cucina e i seminari sul gusto affidati ai grandi cuochi italiani, ambasciatori dei migliori prodotti della nostra gastronomia, corsi e seminari riservati ai francesi che adorano l’Italia e amano scoprirne i segreti… Niente da fare. Anche Gavazzi, come il grande architetto prima di lui, coltiva sogni grandiosi, rincorre altre ambizioni. Si guarda intorno, sorride, e alla fine propone di installare un mobile cucina al piano terra, facendolo vagare sul pavimento di marmo del vestibolo, un tempo sala da pranzo e oggi salone delle conferenze. Anche lui, come il grande architetto, trascura la filologia e l’architettura, dimentica che in una dimora aristocratica del Settecento gli spazi destinati alla cucina non sono al piano terra e nemmeno al piano nobile, ma al piano interrato. Non è neanche lontanamente sfiorato dal dubbio che installare una cucina, per quanto splendida, proprio lì, al piano terra, equivarrebbe a perpetrare una profanazione.
Fallito il negoziato con Boffi, Cerutti non si dà per vinto. «Troveremo un’alternativa». E intanto piovono i preventivi.
Arclinea manda i suoi architetti per i rilievi e propone come possibile soluzione un piano cottura con cinque posti a sedere davanti e sul retro un tavolo rettangolare per una dozzina di commensali. Il prezzo di favore è intorno ai 22 mila euro. La soluzione però non convince. L’architetto Vudafieri, che intanto ha sposato la causa, continua a seguire il progetto da consulente volontario. Piano piano, l’idea iniziale evolve: da un unico locale siamo passati a due, collegati da piccoli var- chi laterali. Il primo vano, l’ex aula dei corsi con le aperture sul cortile, sarà la zona cucina, con un’isola destinata allo chef e intorno il piano dove far sedere gli allievi dell’Italiano in cucina. Il secondo vano, e cioè l’ex deposito, ex sala dei professori, ex tugurietto ricavato dalla copertura del cave- dio interno, fungerà da dispensa, dove esporre i prodotti di qualità delle varie regioni d’Italia presentati dai singoli chef. Arclinea, dunque, rivede tutto il progetto. E propone un secondo preventivo, comprensivo di un blocco cottura, con lavello e armadi, in forma di isola con intorno dodici sedute e una dispensa per il vano interno, con al centro un grande tavolo rettangolare, per un totale di circa 30 mila euro. Too much.
Scriviamo al visionario imprenditore friulano Gabriele Centazzo, il fondatore di Valcucine, che si batte per la soste- nibilità, per l’ergonomia nella cucina contemporanea, sognan- do di dematerializzare, riciclare, ridurre le emissioni tossiche e garantire la lunga durata del prodotto. Pochi mesi prima ha comprato tre pagine di pubblicità sui giornali per lanciare il manifesto del Nuovo Rinascimento, convinto com’è che creatività, bellezza, ricerca e internazionalizzazione possano risollevare le sorti dell’economia e della cultura italiane. Sia- mo sulla stessa lunghezza d’onda. Gli esponiamo il nostro programma di promozione e valorizzazione a vasto raggio per federare i produttori di eccellenza in un rapporto di associazione; gli proponiamo di fornirci una delle sue cucine complete, scelta fra quelle destinate alle fiere, o di offrircene una a prezzo scontato, in cambio di promozione ad hoc per la sua azienda, nel cuore del Faubourg Saint-Germain. Nessuna risposta. Poi arriva la proposta di una mostra su Gio Ponti, sponsorizzata da Molteni, altro celebre marchio italiano. L’accettiamo di buon grado. Carlo Molteni in persona e sua figlia Francesca si lasciano coinvolgere nel nostro progetto di promozione della cultura partecipata. Mandano i loro agenti. Gli architetti si mettono al lavoro. Il progetto della cucina arredata con pezzi di design Molteni Dada prende forma, con la supervisione di Vudafieri e dell’architetto Bellaviti, un italiano con studio in Francia e molta passione per il design. Siamo sul punto di concludere al prezzo di costo di 18 mila euro, ma… colpo di scena. Cerutti annuncia l’interesse di un altro produttore di mobili per cucina, disposto a offrire un trattamento speciale.
Entra in campo Presotto Dario.
Il proprietario della Modulnova è un tipo energico, positivo. Ha una stretta di mano vigorosa che trasuda determinazione, e un biglietto da visita total black dove il cognome precede il nome. Presotto Dario ha l’aria di un fedayn, ma è il presidente del consiglio di amministrazione di un gioiello della manifattura italiana. La sua azienda produce mobili da cucina, bagni, e ora anche arredi per la zona living, a Pordenone, nel profondo Nordest, in uno dei distretti industriali a più alto tasso di operosità artigiana. Incarnato olivastro, barba di due tre giorni alla Mickey Rourke, occhi scuri, sguardo vivace benché minato da leggero strabismo, una kefiah che gli penzola dal collo a mo’ di sciarpa, nonostante l’apparenza inquietante Presotto Dario è un uomo simpatico. L’idea di fornire i suoi mobili all’Istituto italiano di cultura per lan- ciare i nuovi corsi dell’Italiano in cucina, affidati ai grandi cuochi stellati nella veste di insegnanti, lo conquista. Essendo un tipo concreto, però, mette subito le mani avanti: «Noi la cucina non gliela forniamo: gliela re-ga-li-a-mo». L’affermazione è piena, generosa, non lascia adito a dubbi; non tradisce calcoli meschini. È l’effetto di una precisa strategia: «Stiamo crescendo tanto e vogliamo conquistare il mercato francese. La vetrina che ci offre l’Istituto di cultura è irresistibile per noi». L’azienda di Presotto Dario cresce in tempi di crisi a ritmi esponenziali. Negli ultimi dieci anni ha fatto un balzo importante verso l’internazionalizzazione, e oggi le cucine Modulnova si possono comprare a Seul e a Taiwan, a Città del Messico e a Sidney, a Miami e in tutta Europa, da Siviglia a Stoccolma, e persino in Medio Oriente, a Beirut. L’esporta- zione riguarda il 30 per cento della produzione e nei prossimi tre anni è previsto che superi il 50 per cento.
La cucina dell’Istituto di cultura sarà prodotta su misura per i nostri spazi. Il progetto di Tiziano Vudafieri verrà convalidato dai tecnici di Pordenone. Ogni pezzo sarà ritagliato su misura e definito ad hoc per rispondere alle nostre esigenze. Sembra di sognare, ma stiamo entrando in un altro mondo. Il mondo del dono e della bellezza, della generosità e della gara per l’eccellenza, dove il gusto di lavorare in comunità e l’amore per il lavoro ben fatto sono il pungolo e la principale ricompensa di un’operosità diffusa, di natura artigianale, e gli ingredienti del successo delle nostre imprese nel mondo.
Nonostante la crisi, Modulnova continua infatti a crescere con percentuali a due cifre. I suoi prodotti sono tutti di design e di un’eleganza estrema: mobili scuri, spaziali, color antracite, dalle linee squadrate, perentorie, che però riescono a essere calde e avvolgenti. Per i rivestimenti, utilizzano materiali nuovi e spesso rivoluzionari, come la Kerlite, tecnicamente un foglio di porcellana sottilissimo ma super resistente e perciò declinato in lungo e in largo, sia per rivestire i piani di lavoro orizzontali, sia per ricoprire le pareti di armadi e dispense in verticale. La ditta di famiglia è arri- vata alla terza generazione, ma affonda le radici nella fame e nell’antica laboriosità contadina di una regione storicamente ben amministrata come il Friuli-Venezia Giulia. L’azienda di Presotto padre è nata nel 1960 a Maron, frazione di Brugnera, comune a 15 chilometri da Pordenone. Ma prima del padre c’era il nonno, figlio di contadini e piccoli coltivatori, che a otto anni, e siamo agli inizi del Novecento, lascia il lavoro nei campi e abbandona la scuola per andare a fare il ragazzo di bottega dal falegname della vicina Villa Varda, a San Cassiano di Livenza.
Lì Giuseppe Presotto impara il mestiere e inizia a fabbricare credenze,cassapanche di legno. Appassionato di Tiziano, si diletta a dipingere quadri per i quali fabbrica cornici scolpite a mano, conservate oggi come cimeli nelle case dei nipoti. Nel dopoguerra, i quattro figli di Giuseppe si mettono a fabbricare mobili. Il padre di Dario si specializza nella produzione di camerette per bambini. Ma saranno i suoi figli a fare il salto nell’innovazione futuribile. La Modulnova che oggi ha sede a Prata di Pordenone è nata nel 1988 dall’ostinazione di due ventenni che un bel gior- no, di fronte alla decisione del padre di liquidare l’azienda, uniscono le forze e decidono di rimettersi in gioco. Presotto Dario aveva già iniziato a lavorare col padre, stava faceva il servizio militare e gli mancavano solo sei esami per laurearsi in economia. Suo fratello Giuseppe, oggi responsabile della contabilità del gruppo, si era diplomato in ragioneria. «Fab- bricare mobili da cucina non era nelle nostre corde, ma ave- vamo chiaro il posizionamento del nuovo marchio: volevamo produrre cucine componibili che avessero come fulcro il design e la qualità. Così, dopo i primi anni complicati, come sempre accade quando parti da zero, l’azienda ha preso la sua conformazione e ha conquistato una posizione di mercato». L’intuizione è buona: cucine di alta qualità invece di came- rette per bambini. In tempi di crisi demografica e di rivolu- zione dei consumi si rivela vincente. Il successo però non è solo frutto della buona volontà o dall’attenzione al contesto, ma soprattutto effetto della condivisione, tiene a sottolineare Presotto Dario: «Nasce dal fatto che stiamo bene insieme, abbiamo la fortuna di condividere il nostro percorso con tanti collaboratori, dipendenti, tecnici, fornitori, che formano una squadra legata non solo dal profitto economico, ma dalla passione di fare e di innovare, e dalla voglia di convivialità».
Nel 2002 i fratelli Presotto, ai quali dal 1992 si è aggiunto anche il terzogenito Carlo, geometra di quindici anni più giovane, fondano la Modulnova bagni, una nuova srl per ampliare la gamma dei prodotti dell’azienda madre. Due anni dopo è la volta di Modulnova Home, un terzo marchio dedicato a un prodotto complementare alla cucina, pensato per il living e la zona giorno, che oramai è una dilatazione della zona cucina. E di recente è partita anche Modulnova Outdoor, per trasferire le cucine di design nei giardini all’a- perto o sulle terrazze delle case di città. L’evoluzione dell’a- zienda riflette dunque quella dei tempi e continua a inseguire il mercato. Nelle case contemporanee, la cucina abbandona la solitudine della zona servizi per allargarsi in «uno spazio conviviale aperto» al centro della vita domestica e della vita di relazione. Ma il successo di Presotto Dario & fratelli non si spiega solo con l’attenzione alla moda: è il risultato di una strategia oculata, che mira a dare all’azienda le competenze interne necessarie per inventare un prodotto di qualità, per seguirne dall’inizio alla fine la creazione e il processo di pro- duzione. «Siamo forse un caso quasi unico di un’azienda che pensa, studia e progetta al suo interno, seguendo i prodotti direttamente in ogni singola fase: dal design alla ricerca, dall’innovazione ai brevetti, dal merchandising al catalogo», spiega l’ad. «Anziché ricorrere a consulenti esterni, abbiamo creato una nostra propria squadra animata da un pensiero comune, ed è questo a definire un tipo di gestione aziendale, e soprattutto una filosofia del prodotto e della sua distribuzione».
I tecnici di Modulnova sono reclutati in vario modo, fra i diplomati della scuola del mobile di Brugnera, nelle univer- sità o attingendo al vivaio di aziende locali, e sono abituati a lavorare insieme e affinare il gusto comune nel design, nell’innovazione, nella ricerca di nuove linee di produzione. È per questo che negli anni più difficili della crisi finanzia- ria, tra il 2009 e il 2015, quando persino nel ricco Triveneto ogni giorno si registrava la morte di un’azienda, Modulnova, in netta controtendenza, vedeva aumentare del 55 per cento il suo fatturato, che oggi ha raggiunto i 35 milioni di euro all’anno, finendo per collocarsi fra le prime sei aziende italia- ne nel settore delle cucine di alta gamma. Ma il vero segreto di questa crescita portentosa è l’attenzione alla ricerca: «Ogni anno investiamo in questo settore non meno del 25-30 per cento del margine di profitto», spiega Presotto Dario. Oggi la sua azienda conta 120 dipendenti, divisi in due unità pro- duttive, ma ha un indotto di circa 400 addetti, con fornitori che spesso lavorano in esclusiva. A capo del gruppo di lavo- ro interno c’è Carlo Presotto, che si occupa della gestione e dell’innovazione nel design, affiancato dal designer Andrea Bassanello e da ingegneri e tecnici di supporto. «Formata da sette, otto persone, la sua squadra non pensa ad altro: è alla costante ricerca di idee originali, di miglioramenti estetici e qualitativi, e di brevetti per difendere progetti inediti».
Gli esempi non mancano: oltre alla Kerlite, ci sono le resine utilizzate nell’edilizia per rivestire pavimenti e convertite in prodotti per piani, mobili, ante da cucina, bagni, e l’alveo- lare di alluminio. «Tecnicamente, la Kerlite è un gres por- cellanato prodotto su un foglio di tre millimetri di spessore, largo un metro e lungo tre. Noi l’abbiamo usato per placcare le ante delle colonne-armadio e i piani di lavoro delle nostre cucine, e vista la straordinaria resistenza che oppone ai graffi, alle scalfitture, al calore, alle macchie d’olio o di altri liquidi, ne abbiamo fatto un elemento centrale del nostro marchio di fabbrica». Sembra niente, ma la storia è esemplare. La Kerlite è un’invenzione di Cotto d’Este, azienda leader nel comparto modenese di Sassuolo; in origine serve a ricoprire i pavimenti o i rivestimenti dei muri esterni dei palazzi. Nel 2008, i Presotto siglano un accordo con l’azienda di Sassuolo e ottengono la licenza di utilizzare la Kerlite in esclusiva per una durata di due anni. Si danno un lasso di tempo brevissi- mo per studiare il modo di adattarla al legno e rifinire i loro mobili. «Non è stato semplice, ma alla fine, dopo vari studi e molte variazioni, ci siamo riusciti, e oggi produciamo piani composti da tre strati di Kerlite di un centimetro di spessore, che offrono grande stabilità e la massima resistenza».
L’ultimo prodigio nella ricerca e nell’adattamento di materiali altamente versatili, ha portato all’adozione del così detto alveolare di alluminio, un foglio di alluminio leggerissimo di un centimetro di spessore, che permette di fabbricare ante molto sottili e resistenti di grandi dimensioni, con le quali rivestire colonne alte tre metri trasformandole in pareti. «La rifinitura avviene con calce di resine laccate, materiali parti- colari che danno l’effetto del bronzo o dell’ottone e consento- no di progettare i volumi e gli spazi delle case in modo nuovo e radicalmente diverso».
Entrare in una cucina Modulnova significa dunque avere accesso a una dimensione estraniante eppure avvolgente come quella di uno spazio del futuro, squadrato ma non aset- tico, razionale ma accessibile, caldo, funzionale e al tempo stesso estremamente duttile. Ante scorrevoli a scomparsa, pareti tattili che si muovono silenziose lungo binari invisibili, dispense segrete che si dischiudono con un semplice tocco, lavelli nascosti che si aprono come d’incanto e poi scom- paiono sotto un tettuccio di alluminio. Ovunque una cura maniacale del dettaglio, un’attenzione alla rifinitura e alla sorpresa dell’effetto, che però non va mai a discapito della funzionalità. Oltre ad aver conquistato le case dei vip ricchi e famosi, le cucine Modulnova, col loro design su misura, stanno ormai entrando anche nelle case della fascia media, con prezzi che partono dai 25 mila euro e arrivano sino a 300 mila. Da quando ha regalato la sua cucina all’Hôtel de Galliffet, nel giro di un anno, Presotto Dario ha inaugurato il primo punto vendita parigino di Modulnova in rue du Faubourg Saint-Honoré; l’anno dopo ha rilevato da un gran- de marchio un secondo negozio spettacolare all’Odéon, nel cuore del Quartiere latino, per farne il polo della distribu- zione in Francia, dove oggi esistono 35 negozi Modulnova, e in tutta l’Europa.
Per installare la cucina Modulnova nel doppio spazio dell’istituto progettato da Tiziano Vudafieri ci sono voluti due giorni di lavoro. Sotto la regia dell’addetto alla distribuzione, Renzo Bellinazzi, un prodigio del marketing applicato alla cultura, una squadra di una decina di persone ha lavora- to giorno e notte per rifinire, sistemare, coordinare gli allacci con l’impianto idraulico ed elettrico. I mobili dei fratelli Presotto usciti dall’azienda di Prata di Pordenone hanno accolto gli elettrodomestici della Smeg, altro grande marchio storico italiano, acronimo delle Smalterie metallurgiche emiliane Guastalla, che producono forni a vapore, piastre a induzione, con relative cappe elettroniche. Gli armadi capienti hanno sposato le installazioni dell’abbattitore di temperatura e della macchina per conservare i cibi sottovuoto forniti dalla Irinox. Le ante in vetroresina hanno ospitato il servizio di piatti in porcellana bianca Bone China, e il set di bicchieri offerti da Bitossi Home, bella azienda toscana, guidata oggi da Maria Sole e Ginevra Bocini. I cassetti a scomparsa hanno accolto un magnifico set di coltelli delle Coltellerie Berti, di Scarperia sul Mugello, e gli utensili Bialetti, forniti in grande quantità per gli allievi dei corsi d’Italiano in cucina, mentre gli scaffali e le dispense si arricchivano rapidamente dei pro- dotti di qualità dell’enogastronomia italiana, selezionati mese per mese dai cuochi stellati invitati a tenere un seminario all’Hôtel de Galliffet.
Così, in pochi mesi, partendo da un prodotto tecnologico ad alto valore aggiunto come l’abbattitore termico, siamo riusciti a innescare una gara di emulazione fra le imprese sensibili al mecenatismo di competenza, in uno spirito di collaborazione paritetica tra pubblico e privato. È la valoriz- zazione partecipata in vista della promozione della cultura: lo Stato offre all’impresa ciò che l’impresa non può produrre in proprio, e cioè il prestigio di una sede istituzionale, la legittimazione culturale del valore aggiunto prodotto da una manifattura di qualità, la possibilità di irradiazione interna- zionale ben oltre i semplici canali dell’export. Il privato dà allo Stato ciò che lo Stato non può avere, e cioè un metodo e una strategia industriale, un prodotto di qualità, che ha valore esemplare in quanto è l’effetto di una ricerca e di un’innovazione che costituiscono di per sé un premio per l’industriosità, e quindi offrono una delle testimonianze più vive di una nazione e della sua ricchezza.
*Marina Valensise, giornalista, è stata direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi
La cultura è come la marmellata
di Marina Valensise
Marsilio Editore
pp. 144, 13.00 euro