Non ci sarà alcun rimbalzo per l’economia dell’Eurozona nel secondo trimestre. La crescita ha rallentato più del previsto nel mese di maggio come mostra l’indice Pmi – Purchasing managers index – elaborato dagli analisti di Ihs Markit, rendendo quasi impossibile (anche guardando all’inflazione debole) un ritorno della zona euro ai ritmi di espansione dell’anno passato, chiuso sopra agli Stati Uniti con un Pil al +2,4 per cento.
Il Pmi composito dell’Eurozona, che sintetizza l’attività dell’industria manifatturiera e dei servizi, è sceso a maggio a 54,1 punti dai 55,1 di aprile: l’indice continua a indicare un forte incremento ma la lettura preliminare di Markit segna il livello più basso dell’ultimo anno e mezzo e il quarto mese consecutivo in diminuzione. La crescita è peggiorata sia nel manifatturiero che nel terziario mentre anche i nuovi ordini hanno ridotto il passo (a 53,5 dai 54,6 punti di aprile, il minimo dall’ottobre del 2016).
«Sta diventando sempre più chiaro che lo slancio di crescita ha rallentato rispetto alla fine dello scorso anno, specialmente in relazione alle esportazioni. Le assunzioni hanno dato di conseguenza segni di contenimento. L’incremento del prezzo del petrolio e l’aumento dei salari hanno continuato intanto a spingere i costi sostenuti dalle aziende al rialzo, ma la debolezza della domanda finale significa che le aziende stanno avendo difficoltà a trasferire questi aumenti dei costi sui clienti», spiega Chris Williamson, chief business economist di Ihs Markit. ««Il Pmi di maggio – continua Williamson – ha portato di nuovo risultati deludenti anche se ancora una volta è importante essere cauti nell’interpretarli. Mentre i mesi precedenti avevano visto vari fattori come condizioni climatiche estreme, scioperi, malattia e le vacanze pasquali influenzare negativamente la crescita, a maggio l’attività è stata influenzata negativamente da un numero anormale di giorni festivi». Secondo il capo economista di Ihs Markit inoltre «nonostante il valore principale del Pmi sia sceso al minimo da diciotto mesi, la lettura flash resta a un livello coerente con una crescita economica dell’Eurozona ad un tasso rispettabile di appena più dello 0,4% nel secondo trimestre».
Ad abbassare il ritmo e a influenzare negativamente l’indice Pmi sono state la Francia e soprattutto la Germania. L’espansione francese è stata la più debole degli ultimi sedici mesi: la manifattura è salita al 55,1 dal 53,8 di aprile ma i servizi sono crollati ai minimi dal gennaio del 2017. Il Pmi composito tedesco è sceso ai minimi da venti mesi registrando a maggio a 53,1 punti dai 54,6 di aprile: l’attività manifatturiera è scesa a 56,8 dai 58,1 punti di aprile, toccando il livello più basso dal febbraio del 2017, e quello dei servizi a 52,1 dai 53 di aprile ai minimi da settembre 2016.
Anche se il Pmi è ben al di sopra dei 50 punti e quindi del livello di espansione, si intensificano le preoccupazioni per la durata dell’attuale fase espansiva. «La crescita dell’Eurozona – dice James Nixon, chief european economist di Oxford Economics – deve confrontarsi con alcuni fattori potenzialmente negativi come la rinascita del protezionismo globale o con il timore che dall’Italia possa divampare una nuova crisi finanziaria». Gli analisti di Oxford Economics – anche guardando all’indice Pmi, e quindi all’opinione dei responsabili degli acquisti – stimano una crescita del Pil nella zona euro «non superiore allo 0,4-0,5 nel secondo trimestre».
Continuano invece i segnali positivi per l’economia degli Stati Uniti: in crescita sia il Pmi flash sul manifatturiero (a 56,6 punti da 56,5 punti) che sui servizi (a 55,7 punti da 54,6).