I social network e la vecchia tivù. Presente, passato e futuro sotto la volta del teatro Olimpico. È proprio questa la prima risposta che arriva, silenziosa e neppure richiesta, dall’incontro svoltosi “fra le vie di Tebe” tra 200 studenti universitari provenienti da tutta Italia e il giornalista Enrico Mentananell’ambito del Festival Città Impresa.
I tempi cambiano, si evolvono gli strumenti ma ci sono radici che ci ancorano saldamente a terra. Non è nostalgia, e del resto non ne dimostra il direttore del Tg de La7 neppure quando sorvola i 38 anni della sua attività. Semplicemente ne prende atto, da cronista. Senza sottrarsi alle domande ma scortecciando con il machete vizi antichi e luoghi comuni. Ad esempio sulla presunta correlazione tra consenso elettorale e social network. Mentana è netto, categorico. «Vale il messaggio non il costo del contatto, come teorizzato dal grande Casaleggio. Lui applicava criteri pubblicitari, ma se raggiungi tutti non significa che tutti sono poi condizionati da questo. Nel ’94 c’era la vulgata per cui Berlusconi aveva vinto dal momento che aveva le televisioni, era una fesseria. Vero, Fede era una sorta di Istituto Luce, ma alla fine chi cercava quel canale e quel direttore lo faceva perché era già di quell’idea. E vale lo stesso oggi con i 5 Stelle. Dobbiamo smettere che gli altri siano fessi rispetto a noi».
Dove c’è buona politica, insomma, non c’è Facebook che tenga. Critica severa ma serena, corroborata da un dato elettorale. «Poco meno di 4 anni fa il Pd e Renzi ottennero il 41 per cento di voti e una fiducia notevole, oggi hanno raccolto meno della metà, eppure i social network sono gli stessi». Evitare cortine fumogene alzate per consolarsi. Perché ci sarà pure uno zoccolo duro di “babbei” e di cultori catacombali delle fake news e delle teorie cospirazioniste («Anche in Israele ci sono i nazisti») ma le bugie sul web possono avere le gambe ancora più corte.
Razionalista e realista, anticamera quest’ultima di un pessimismo critico, sottolinea: «Anche noi giornalisti dobbiamo scendere dalle nostre torri d’avorio. Oggi la stragrande maggioranza dei giovani non legge e non ha neppure, come avevamo noi, il culto del telegiornale. Quando si svegliano hanno mille modi per informarsi, basta uno smartphone. Anche le modalità di informazione sono cambiate».
Resta il problema delle buone fonti, come e dove cercarle, ma anche questa è la sfida che giornali, televisioni hanno davanti. La fase, come tutte le fasi di transizione, vive anche una dicotomia quotidiana che la stessa platea dell’Olimpico sottolinea: da una parte la generazione delle App, dall’altra i “sopravvissuti” del secolo scorso, che si adattano senza rinunciare a quelle domande che l’attualità rimanda. La Siria ad esempio. Mentana, che non fa il politico, inquadra i rischi come «enormi» in un’area dove ci sono l’Iran, peggior nemico dell’Arabia Saudita, l’islamica ma non araba Turchia e Israele. Sì, non si vive di solo X-Factor, anche se poi, a ben guardare, c’è anche questo. E le case discografiche ringraziano.
*Il Giornale di Vicenza, 15 aprile 2018