«L’era delle grandi opere inutili è finita», incalza Luigi Di Maio, dopo l’accordo con la Lega di riconsiderare tutti gli investimenti pubblici (e non solo) sulle infrastrutture. Già condannata a morte la Tav Torino-Lione, ballano almeno cento grandi progetti considerati finora prioritari dal governo. E, con loro, la bellezza di 133 miliardi di euro, tanto costano.
Alcuni sono già finanziati, altri sono ancora indietro, o nemmeno partiti.Finora lo Stato ha investito 98 miliardi di euro in queste nuove infrastrutture, ma per completarne ne mancherebbero altri 35, secondo i dati contenuti nel Def appena presentato dal governo Gentiloni. Con la nuova linea di governo, in teoria rischiano tutti di essere rimessi in discussione. Non tutti di cadere. Molti riguardano il Nord, e nel Comitato di Conciliazione che dovrà rivisitare i progetti, per il M5S non sarà facile piegare la Lega.
Due dei progetti da sempre nel mirino del M5S, ad esempio, sono le due Pedemontane di Veneto e Lombardia, da sempre in ritardo. Per la prima, che costa 2,2 miliardi, sono stanziati solo 600 milioni, mentre per la Pedemontana Lombarda (30 chilometri realizzati su 157), che costa 4 miliardi, ce ne sono 1,2. Difficile immaginare che, nonostante le critiche grilline, Luca Zaia e Attilio Fontana rinuncino a difendere le loro creature, per le quali si sono tanto battuti.
L’unica grande opera esplicitamente «condannata» dal Contratto per il governo del cambiamento è del resto l’Alta velocità ferroviaria Torino-Lione. Costa 8,2 miliardi, ma lo Stato italiano per completarla deve trovarne ancora più della metà. La disdetta dell’accordo con la Francia motivato dalla mancanza dei presupposti per l’opera (la saturazione del traffico, cui fa riferimento l’accordo bilaterale invocato dal M5S), avrebbe comunque conseguenze economiche pesanti. Bisognerebbe rimborsare Ue e Francia della spesa fatta finora, circa 2,3 miliardi, poi ripristinare le aree dove sono state già costruite le opere.
Tra i grandi progetti che il partito di Grillo ha sempre osteggiato, oltre al Mose di Venezia, «uno spreco da 5 miliardi», c’è il Tap, il gasdotto transadriatico per il gas dall’Albania alla Puglia, e la Rete Snam, che è la sua prosecuzione verso Abruzzo, Marche ed Emilia. Mentre a Melendugno, dove sono appena iniziati i lavori, gli amministratori locali del M5S hanno fatto sequestrare il cantiere (si sospetta il mancato rispetto delle procedure di espianto degli ulivi), in Europa il partito di Grillo ha appena fatto approvare una risoluzione al Parlamento che contesta il prestito da 1,5 miliardi della Bei (l’opera ne costa oltre 8) per un progetto che «non considera le norme ambientali e sociali minime».
Altra opera a rischio, almeno perché ieri è stata nominata sul Blog delle Stelle, è il Terzo Valico ferroviario Milano-Genova, ovvero i collegamenti Alpi-Liguria. Un progetto da 8,2 miliardi, già quasi interamente finanziato. Sempre a Genova è previsto uno dei cantieri più importanti, con l’ampliamento dell’autostrada ad ovest della città per smaltire il traffico urbano. I lavori costano 4,7 miliardi e dovrebbero terminare nel 2023.
Più difficile rimettere in discussione le grandi opere ferroviarie al Sud, già molto carenti, come l’Alta velocità ferroviaria Napoli-Bari (5,8 miliardi), la linea Palermo-Messina-Catania (6 miliardi), il rafforzamento della dorsale adriatica tra Pescara e Bari (1,3 miliardi).
In compenso c’è già chi vede vacillare l’Alta velocità tra Brescia e Verona, l’Autostrada della Valtrompia, il collegamento autostradale Tirreno-Brennero, il potenziamento del nodo di Firenze, l’Autostrada del basso Lazio, il miglioramento della E45 tra Orte e Ravenna.
Già quasi del tutto affossato dal governo Renzi, rischia forte anche l’ultimo pezzettino sopravvissuto della (ormai ex) Autostrada Tirrenica, i dodici chilometri di Capalbio, preceduti e seguiti dalla strada Statale. Erano rimasti gli unici ad aver resistito alla sforbiciata di Renzi e Delrio. Difficilmente sopravviveranno a Di Maio e Salvini, se mai arrivassero a Palazzo Chigi.