Teheran o Washington? A vedere i dati dell’interscambio commerciale dell’Italia, non c’è partita: 50 miliardi l’anno con gli Stati Uniti contro i 5 con l’Iran. E va bene che il business con il Paese degli ayatollah ha ampi margini di crescita. Ma gli Usa, con i loro 300 e più milioni di abitanti con una spiccata propensione per i prodotti di alta gamma, sono un approdo irrinunciabile per una larga fetta del made in Italy. Detto questo, gli imprenditori con il tricolore sulla carta intestata in queste ore hanno un motivo di incertezza in più. Tra loro Enrico Carraro. Padovano, 56 anni, Carraro è presidente del gruppo di famiglia, specializzato nella produzione di sistemi di trasmissione, 600 milioni di fatturato l’anno.
Preoccupato? Che impatto ha la decisione degli Usa di uscire dall’accordo con l’Iran sui bilanci delle aziende italiane?
«Teniamo i piedi per terra. Di fatto Trump non ha ancora tradotto la sua scelta in misure concrete. In questo momento non sappiamo quale contraccolpo avranno le nostre imprese. Trump ha detto che lo definirà nel giro di 90-180 giorni. Aspettiamo».
Sembra tranquillo. O forse rassegnato?
«No, sa qual è il problema? In questa fase la diplomazia è importante. È chiaro che il livello giusto per un confronto con Trump è quello europeo. Ma resta il fatto che l’Italia in questo momento non ha voce».
Nel senso che non ha un governo?
«Esatto. Cosa pensa l’Italia della rottura di questo accordo? Cosa chiediamo? Gli altri intanto si muovono e tutelano i propri interessi. Basti guardare a come si sta muovendo la Francia di Macron».
Torniamo alla sua azienda.
«Guardi, nel nostro caso la scelta è abbastanza semplice. Gli Stati Uniti sono la principale destinazione del nostro export. Il business con l’Iran è marginale. Ma non vorrei essere nei panni di chi ha appena fatto accordi importanti con Teheran».
In realtà le imprese che dal 2016 hanno firmato commesse in Iran spesso non hanno fatto partire i lavori per le difficoltà a perfezionare le operazioni sul piano finanziario.
«Tutti sappiamo che in un contesto mondiale così mutevole bisogna diversificare il rischio e moltiplicare i Paesi con cui si lavora. In questo senso l’accordo voluto da Obama è stato un’opportunità. Detto questo il vero problema è che le nostre imprese subiscono l’impatto di eventi sempre più imprevedibili. Prenda le due Coree. Sei mesi fa Trump e Kim Jong-un si scambiavano tweet al veleno. Poi a sorpresa è scoppiata la pace».
Come si naviga in un mare così agitato?
«Rendendo le nostre industrie sempre più flessibili. E multi localizzate».