Nell’Italia dalla ripresa lenta c’è una categoria che rischia di pagare più di tutte lo stallo politico che si protrae da oltre 60 giorni: le professioni ordinistiche. Una cospicua fetta di Paese che, come dimostrano le nuove elaborazioni di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati a cinque anni dalla laurea, sta cominciando solo adesso a uscire dalla crisi. E che, come dà conto l’articolo qui sotto, sta ancora aspettando una semplificazione delle regole di accesso all’Albo o al mondo del lavoro.
Proprio il lavoro era stata la nota dolente di diversi professionisti fino al 2016. Quando gli unici ad aver visto ridursi il tempo intercorso tra la laurea e il primo impiego erano i dentisti, i biologi e i veterinari. L’anno dopo al gruppo si sono aggiunti gli avvocati, i dottori commercialisti e i geologi.
In realtà, la media sconta ancora gli effetti della crisi: nel 2012,“annus horribilis” con il Pil italiano in caduta del 2,4%, un giovane laureatosi cinque anni prima in una delle 14 professioni esaminate da Almalaurea aveva bisogno di 9,7 mesi per trovare un’occupazione. Nel 2017 si era ancora a quota 10,2. E il risultato non cambia se ci focalizziamo sull’intervallo tra l’inizio della ricerca di un’occupazione (e non il conseguimento del titolo) e la sua conclusione positiva. In media ci vogliono ancora 7 mesi. Due in più del 2012. Ma 1,4 in meno del 2016. Qualcosa si muove, dunque.
Un altro segnale di sereno arriva dalle retribuzioni, sempre a cinque anni dal titolo. Che hanno ricominciato a salire per la maggioranza degli ambiti investigati da Almalaurea. Eccezion fatta per i legali, gli specialisti in contabilità e, un po’ a sorpresa, gli ingegneri.
I primi hanno visto scendere i corrispettivi netti da 1.129 euro mensili a 1.052; i secondi da 1.611 a 1.544. Per i terzi bisogna distinguere a seconda dell’attività. Mentre edili, meccanici e industriali continuano ad arrancare, gli elettronici sono saliti da 1.836 a 1.914 euro. Numeri su cui ha avuto un impatto rilevante anche la maggiore o minore diffusione del part-time.
Il segno più campeggia anche accanto alle retribuzioni di architetti, geologi, veterinari, biologi, agronomi, farmacisti, dentisti e psicologi. I quali continuano a restare però sotto la soglia psicologica dei mille euro al mese. Anche a causa di una netta preponderanza del lavoro autonomo rispetto al tempo indeterminato: il 73,2% contro il 67,8% del 2012. Per trovare una percentuale più alta bisogna cercare dalle parti degli avvocati (86,1%), dei veterinari (81,1%) e dei dentisti e odontostomatologi (82,2%).
Sempre sul piano lavorativo emerge un altro elemento di criticità generale. E cioè la riduzione degli spazi per collaborare con la Pa a fronte di una crescita delle opportunità sia nel privato che nel non profit. Tra il 2012 e il 2017, la quota del campione esaminato da Almalaurea in possesso di un impiego pubblico si è ridotta dal 27,3 al 22,3 per cento. Come non leggerci l’effetto del lunghissimo blocco del turnover che ha interessato la Pa e che è stato rimosso soltanto a partire da quest’anno? Numeri alla mano, lo stop alle assunzioni sembra aver penalizzato soprattutto i biologi che hanno perso quasi nove punti nell’arco del quinquennio.
Se la fotografia degli sbocchi occupazionali restituisce l’immagine più fedele dell’impatto che la recessione ha avuto sui professionisti italiani, quella sulle performance universitarie spiega perché molti ordini confidano in una revisione dei percorsi formativi. Non fosse altro che per buttare giù l’età media alla laurea magistrale arrivata a 27,4 anni. L’unica categoria in controtendenza sono gli specialisti in contabilità che l’hanno vista calare da 27,6 a 26,9 anni. Complice la sperimentazione su larga scala dei tirocini anticipati. Una strada che altre professioni hanno già chiesto di imboccare. A un Governo e un Parlamento nel pieno dei loro poteri l’onere di rispondere.