Un tovagliolo di carta e tre numeri scritti a penna: 20-20-60. Così è nata Febametal, una delle maggiori case di utensileria in Italia: con tre soci (tra cui una donna) che si dividono le quote di una nuova attività seduti al tavolo di un bar, alla periferia di Torino. «Era il 1995, avevo 44 anni e venivo da un’esperienza nel settore come dipendente – racconta Paolo Giuseppe Costa, oggi presidente –. Io avevo, e ho, la maggioranza, ma in 23 anni abbiamo sempre lavorato alla pari. Sa cosa mi disse la banca quando rivelai le mie intenzioni? “Ingegner Costa, non si metta in proprio, non ci guadagnerà mai”».
E invece l’ingegnere non ha ascoltato. A suon di metafore («Non cadevo dal pero quando ho deciso di aprire la mia attività», dice) e con una strategia chiara ha fatto crescere la Febametal, che oggi rappresenta sul mercato italiano diverse imprese produttrici di utensili per asportazione di truciolo, tedesche, come la Horn, o nostrane, come la Scami. Circa il 30% del giro d’affari è invece realizzato negli stabilimenti di Grugliasco. Il settore, nel nostro Paese, vale tra 750 e 900 milioni di euro all’anno. «Noi, coi nostri 29,5 milioni di fatturato, siamo una nicchia, ma ci siamo specializzati in una serie di lavorazioni ad altissimo valore aggiunto e tecnologico e nella velocità di consegna». Così la crisi è passata, senza lasciare cicatrici. «Nel 2009 abbiamo fatto il 45% in meno di fatturato, ma il trend si è invertito già dal 2011 e l’anno scorso siamo cresciuti dell’11% sul 2016», ricorda Costa, che non ha smesso di credere nelle potenzialità del «capitale umano». «Per rimanere ai massimi livelli e fare sempre meglio abbiamo bisogno di ragazzi preparati, svegli e curiosi. Sì, perché la curiosità è tutto, anche in questo ambito».
Il momento d’oro della meccanica (l’Italia è il secondo Paese produttore di macchine utensili dopo la Germania) in parte si deve a Industria 4.0, che con i suoi incentivi ha invogliato le imprese a rinnovare il parco macchine e ha spinto la domanda per nuovi utensili, ma anche al traino dell’automotive. E allora si pensa a crescere, ancora. «Acquisizioni? – riflette Costa. – Pur avendo le possibilità, non abbiamo trovato nulla.Comprarenonèmaiunapasseggiata.Vengono da noi anche i fondi, ci propongono la quotazione: io sono perplesso. Guardi, preferisco pensare ancora come faceva il buon Michele Ferrero: crescita organica prima di tutto». E poi, spazio a nuove forze. «Qualche anno fa non le avrei parlato di seconda generazione – scherza Costa –. Oggi sono fiero che mio figlio Federico e Luca Gazzarri, il figlio del mio socio, siano alla guida con noi, con buon senso, serietà e lavoro». Come si è sempre fatto, alla periferia di Torino, o in Germania, con i clienti di una vita.