La fiducia è merce difficile da costruire e facile da rompere. Per costruirla occorre essere in due. Per distruggerla basta uno dei due. Probabilmente è per questo motivo che la delusione per la rottura è più forte che la felicità di averla raggiunta. La fiducia è frutto di tante componenti. Prima di tutto serve fidarsi dell’altro, capire che non ti vuole fregare. La serietà e l’onestà sono il presupposto. Ci si fida delle persone, ci si fida delle cose. Anzi, delle cose si tende a fidarsi di più perché si sa che non ti possono voltare la faccia. O funzionano o non funzionano. Qualora si rompessero, non è dovuto ad antipatia o ad un cambiato interesse. La fiducia che si riserva ad una persona può, invece, cambiare pelle per i motivi più disparati, anche per mera futilità. Non è insolito scoprire che qualcuno uccide solo per il gusto di farlo, senza una particolare ragione. Oppure come ci ha dimostrato Hannah Arendt, ne “La banalità del male”, anche le peggiori efferatezze commesse da un essere umano possono essere frutto di inconsapevolezza volontaria. Se l’uomo è in grado di tradire la fiducia di un altro uomo, per i motivi più disparati, le cose, cioè la tecnologia, sono molto più sicure nella creazione fiduciaria. Ma sono inanimate, senza umanità. Pensiamo al denaro. In sé e per sé non vale niente la moneta che supporta il valore del danaro. Anzi, sempre più il denaro si sta dematerializzando con l’uso delle carte di credito. Eppure il denaro è la più grande promessa di fiducia che esista. Finché non lo usiamo rimane una promessa. Quando paghiamo qualcosa si trasforma in una fiducia che ha un prezzo. Per l’economista Schumpeter, il denaro, è sempre un credito che si rende esplicito all’occorrenza. Il denaro è quella tecnologia che permette di tradurre la diffidenza, la non conoscenza, in un atto di fiducia. Per il sociologo tedesco Niklas Luhmann “la fiducia consiste nel credere che le proprie aspettative si realizzeranno”. Nulla più del danaro riesce a rendere concreto questo assioma. C’è un’altra caratteristica che il danaro ha insita nel suo valore: in quanto promessa è un atto di fiducia verso il futuro. La spendibilità del danaro non avviene immediatamente. Per questo esistono le banche che sono deputate a conservare il danaro.
Il danaro è il futuro?
Da quando Giovanni di Bicci de’ Medici fondò nel 1397 la prima banca, nulla è cambiato, fino ad ora. Il danaro è molto legato al futuro, in quanto possibile costruzione di ricchezza, di maggiore possibilità. Non è un caso che sul danaro, come sulla mobilità autonoma, i venture capitalist investono molto capitale per trovare nuove soluzioni. Può essere per questo che nel dibattito odierno i bitcoin stanno diventando – da una parte – oggetto di grandi discussioni – dall’altro – rimangono un oggetto molto sconosciuto. Ma la vera rivoluzione non sta tanto in questa nuova versione di danaro, quanto nella novità rappresentata dalla blockchain. La blockchain è una tecnologia che interviene quando esiste un problema di fiducia da risolvere ovviando alla intermediazione di una entità terza fatta dallo Stato, o nel caso del danaro, da una Banca Centrale. Per la verità, una qualche forma di intermediazione esiste ed è fatta da chi – i miners – deve validare i blocchi per poter essere aggiunti alla blockchain che si vuole creare. Con una aggravante, i miners non si sa chi siano e dove risiedono. E’ già successo ripetutamente per le criptovalute che vi siano stati furti milionari senza che nessuno si assumesse la responsabilità. La rivoluzione blockchain, però, sembra che non si fermi e tra qualche anno qualsiasi transazione, da comperare una casa o una stanza d’albergo, possa passare attraverso questo nuovo sistema. Perché la blockchain potrebbe essere così importante per la fiducia? Per la prima volta nella storia dell’umanità diventerà possibile creare una documentazione pubblica – permanente – di chi possiede una cosa. La blockchain diventa un enorme libro contabile digitale condiviso, aperto a qualunque persona abbia una connessione via internet. Per Rachel Botsman, autrice del libro “Di chi possiamo fidarci”, la blockchain è la più vasta architettura della fiducia che l’uomo abbia mai creato in grado di avere conseguenze ad oggi non prevedibili. Questo potrebbe far scomparire interi settori come la giurisprudenza, l’immobiliare, le banche, i media e la proprietà intellettuale. Il libro non è solo dedicato a questa nuova frontiera, ma è una disamina sui meccanismi generativi della fiducia guardando con un occhio severo a quanto la tecnologia sta mutandone le basi stesse. Per la Botsman ci sono tre tipi di fiducia: la fiducia tradizionale, quella che tutti conosciamo essendo vicino a qualcuno in famiglia come nel quartiere; la fiducia istituzionale che nel mondo occidentale è rappresentata dalle democrazie; la fiducia diffusa così presente nelle nuove tecnologie. La fiducia, insomma, è alla base di qualsiasi relazione umana e di tutte le transazioni fisiche e non. In quanto tale è uno dei più grandi problemi che gli uomini si trovano ad affrontare. Per questo motivo è anche la più grande opportunità di business e la principale difficoltà per le istituzioni. I risultati, infatti, sono molto diversi.
Bla Bla trust
Il business risponde a questa sfida creando una fiducia tecnologica che riduce le asimmetrie informative che ognuno di noi dispone. Negli anni ’70 l’autostop era molto utilizzato, non solo dai “fricchettoni”. Negli anni ’90 scompare per due diversi motivi: efferati delitti; una crescita esponenziale dell’uso singolo delle auto. Blablacar, l’app francese che ci aiuta a scorrazzare da un angolo all’altro del paese con pochi soldi ospiti di un automobilista, ha risolto il problema della fiducia. Convincere persone che non si sono mai incontrate prima a viaggiare nella stessa auto per molte ore, è un problema insidioso. Blablacar lo ha superato introducendo il pagamento anticipato e un sistema in grado di valutare l’affidabilità del conducente. Ma anche con la tecnologia il valore della fiducia non si crea facilmente perché dobbiamo fidarci dell’idea, dello strumento proposto dall’azienda e infine dell’altra persona (o, in alcuni casi, di una macchina o un robot). Nel caso di Blablacar – ci dice la Botsman – funziona in questo modo:
“Al primo livello dobbiamo confidare che l’idea di dividere l’auto con qualcuno non ci esponga a rischi e che valga la pena di provarci. Dobbiamo comprendere chiaramente l’idea e nutrire su di essa una certezza sufficiente, o quantomeno un’incertezza ridotta, per essere disposti a metterla alla prova. Il passo successivo richiede di fidarci della piattaforma e dell’azienda. In questo caso significa sapere che BlaBlaCar rimuoverà le mele marce prima del viaggio e ci aiuterà se qualcosa va storto. Il terzo e ultimo passaggio consiste nell’usare le informazioni disponibili per decidere se l’altra persona è affidabile. È in quest’ultimo livello che si crea la vera fiducia;”
Cosa ci guadagno?
Le condizioni per fidarci delle idee nuove, anche quelle tecnologiche, non sono per niente automatiche. Sono, normalmente, frutto di tre stratagemmi:
* il principio del California Maki;
* il fattore CCG;
* gli influencer della fiducia.
Il principio del California Maki si basa sul rendere familiare la novità. All’inizio degli anni ’70 il sushi era già presente in America ma non riusciva a sfondare. Ad un certo punto Ichiro Maschita, chef di un piccolo sushi bar di Los Angeles, ha una idea che cambia il corso degli eventi. Introduce con gli ingredienti tipici del cibo giapponese, una serie di sapori familiari agli americani. Il principio del California Maki sta tutto qui: affiancare ad una cosa nuova qualcosa di conosciuto. L’uomo non è così predisposto alle novità quanto possiamo pensare, se aiutato a riconoscersi, aiuta ad affrontare il mare sconosciuto. La barriera, oltre al principio del California Maki, è quella del “cosa ci guadagno?”. Qui entra in gioco la nostra predisposizione per la comprensione. Finché non abbiamo capito una novità, e il vantaggio connesso, non ci fideremo mai della stessa. Dobbiamo capire cosa può o non può darci. L’ultimo passaggio è dedicato agli influencer. Amiamo fidarci se qualcuno prima di noi si è fidato. Li possiamo chiamare gli influencer della fiducia: tutti coloro che sono in grado di condizionare in modo sproporzionato un cambiamento significativo nei nostri comportamenti. Se molte persone si muovono nella stessa direzione, per noi questo significa molto e siamo disposti a riporre una quantità di fiducia importante. Ma la riprova sociale, e la conseguente fiducia che alimenta, non deve provenire da masse oceaniche di gente. Basta un gruppo ristretto di persone o anche una singola persona che abbia un suo consenso per attivare il cambiamento. Molto più complesso per le istituzioni generare fiducia di questi tempi. Le varie forme di populismo lo dimostrano. Come recentemente ha scritto Luca de Biase:
“In questo periodo, le istituzioni tecnologiche sono facilitate. Le istituzioni tecnologiche della rete si impegnano a salvaguardare la fiducia e danno riscontri quotidiani dei risultati. Le istituzioni hanno tempi più lenti e si prestano alle critiche fondate ma anche infondate. Ma non è finita così. Perché c’è bisogno anche di fiducia nei beni comuni che si salvaguardano con le dinamiche di comunità.”
Titolo: Di chi possiamo fidarci?
Autore: Rachel Botsman (traduzione di Ilaria Katerinov)
Editore: Hoepli
300 pp; 22,90 euro