Chiunque alla fine lo formerà, si profilano già almeno due impegni immediati per il prossimo governo. Entrambi stanno provocando un ben dissimulato nervosismo in varie capitali d’Europa: il primo riguarda la finanza pubblica a causa del rischio, tutt’altro che tramontato, che a fine maggio da Bruxelles arrivi all’Italia una richiesta di correggere la rotta del deficit entro l’estate; il secondo invece ha esiti anche più difficili da prevedere, perché in gioco c’è il vertice europeo di fine giugno, il più importante da molto tempo, e l’incognita che rappresenta per gli altri Paesi la posizione del prossimo governo italiano.
Sui conti del 2018 la partita con la Commissione Ue non è affatto chiusa,anche se il governo uscente deve aver sperato che lo fosse. Non conta tanto la revisione al rialzo del deficit dall’1,9% al 2,3% del Pil sul 2017, imposta dall’agenzia europea Eurostat, a causa dei costi del salvataggio delle banche venete. Quello scalino in più di disavanzo riflette una spesa che negli anni prossimi non dovrebbe ripetersi. Ma il quadro di fondo ancora non convince del tutto la Commissione Ue: in autunno era partita una lettera all’Italia per far presente che la riduzione «strutturale» del deficit (cioè al netto degli effetti positivi della ripresa economica e delle misure non ricorrenti) avrebbe dovuto essere dello 0,3% del Pil, ma nella realtà sembra insufficiente di circa 3,5 miliardi.
Quella lettera era parsa la premessa per chiedere un’altra manovra correttiva, come quella del 2017. Ora questa vicenda sta per entrare nel vivo. In disbrigo di affari correnti, il governo di Paolo Gentiloni questo mese si limiterà a rimandare burocraticamente a Bruxelles il suo vecchio piano di finanza pubblica. Poi però la Commissione Ue si aspetta che il nuovo governo, non appena formato, presenti un «Programma di stabilità» (la versione europea del Documento di economia e finanza) che precisi gli obiettivi di deficit e debito sia per i prossimi anni che per il 2018. Qui l’Italia è sul filo. In base alle regole, una richiesta di manovra è evitabile solo se la Commissione Ue giudicasse che Gentiloni ha lasciato ai propri successori (ex) anti-sistema conti così migliorati nel 2017 che non serve rimetterci le mani a metà 2018. Se però così non fosse — la decisione è per fine maggio — allora il primo dossier per il prossimo governo sarà la richiesta di manovra. Anche nella Commissione Ue, però, si capisce che qui in gioco non c’è solo l’ingranaggio delle regole, perché in questo Parlamento italiano non esiste una maggioranza disposta a votare una stretta di bilancio. Tantomeno a esordire con essa. Per questo da Bruxelles inizierà presto un sondaggio sottotraccia fra le cancellerie europee per coglierne l’umore.
La Commissione Ue vuole capire se in Europa prevalgono, verso una nuova maggioranza euroscettica a Roma, diffidenza e intransigenza, oppure cautela per non rischiare una rottura subito. A Parigi non c’è voglia di esacerbare il rapporto con l’Italia e anche Angela Merkel è molto attenta su questo punto. Ma la cancelliera è sottoposta alla pressione dell’ala intransigente nel suo partito, in Germania e fra i piccoli Paesi del Nord. Così l’ombra della manovra correttiva non è dissolta e si allunga sull’altra partita europea imminente: il rischio che un’Italia euroscettica complichi, per ritorsione, qualunque accordo sul governo dell’euro al vertice dei leader a fine giugno.