Non ci sono solo le banche venete a pesare (potenzialmente) sul conto del Tesoro. L’altra gamba dell’operazione salva-banche del 2017 è infatti rappresentata dal salvataggio di Banca Monte dei Paschi di Siena. Se da un lato l’ingresso nel capitale di Siena ha permesso di mettere in sicurezza il grande malato del sistema bancario italiano, dall’altro lato va detto che fino ad oggi l’operazione si è trasformata in una débacle da un punto di vista finanziario. Come noto, la banca è stata ricapitalizzata lo scorso anno con un’iniezione da 5,4 miliardi, con cui lo Stato è salito fino al 68% del capitale della banca, quota che detiene tutt’ora. Dal ritorno in Borsa dello scorso ottobre, tuttavia, il titolo ha perso il 45% del suo valore.
E così, al momento, il Tesoro si trova a dover fare i conti con una perdita virtuale di circa 3,5 miliardi di euro. I conti si faranno in verità solo alla fine del piano, ovvero il 2021, data entro la quale il Ministero azionista dovrà cedere sul mercato la partecipazione acquisita. Solo allora si cristallizzerà l’eventuale minusvalenza.
La scommessa del Mef è che nel frattempo, una volta ripulito il bilancio dai crediti deteriorati e rimesso in moto il motore del credito, l’istituto torni profittevole. E che quindi l’operazione di investimento si possa rivelare vincente.
Una scommessa, va detto, non banale. L’istituto, che è nel pieno di un progetto di risanamento concordato (e monitorato) con la Commissione europea e la Bce, sta facendo non poca fatica a tornare in carreggiata, nonostante l’impegno del management e della struttura della banca.
Il 2017 si è chiuso con perdite nette per oltre 3,5 miliardi di euro su cui hanno pesato nuove rettifiche su crediti. Ma a scendere sono i ricavi (-6%) e le commissioni (-14,3%), segno che la banca fatica a fare reddito con l’attività tradizionale. Si vedrà con la trimestrale se il trend si può invertire. Certo è che più che sulla raccolta, l’istituto arranca sul fronte degli impieghi. Nel 2017 i prestiti alla clientela sono calati del 19%. Qualche segnale di risveglio c’è sul medio-lungo termine, ma non è sufficiente a cambiare la direzione. Il guaio è che lo sforzo per ridurre il peso dei deteriorati – operazione in cui la banca con sforzo non trascurabile ha cartolarizzato circa 27 miliardi di Npl con Atlante – rischia di rivelarsi non sufficiente per portare il rapporto tra deteriorati e impieghi totali – l’Npe ratio – a livelli ritenuti ottimali. Il paradosso, insomma, è che mentre l’istituto fa di tutto per ridurre il numeratore (i crediti malati), il denominatore rappresentato dai prestiti totali si contrae ancor più velocemente, e così il lavoro di pulizia diventa vano.
Anche per questo motivo Siena potrebbe tornare ad essere uno snodo di rilievo nel potenziale risiko bancario italiano.
L’istituto, essendo coinvolto in un piano di ristrutturazione concordato con la Commissione, non rientra tra quelli assoggettati agli stress test del 2018. E va detto che, essendo stato appena varato un aumento da 8,1 miliardi, pare difficile che la Bce chieda nuovi sforzi nel breve. Ma è chiaro che da qualche tempo il dossier Siena sta circolando nuovamente sui tavoli dei principali banchieri italiani e delle banche d’affari, affinché si trovi una sistemazione definitiva.