Quella arrivata ieri da Eurostat è una revisione contabile, ma quando si parla di bilancio pubblico i numeri sono politica. Soprattutto per un Paese che continua a ballare sull’orlo dei decimali mentre è alle prese con un complicato cambio di governo.
Le cifre di Eurostat, prima di tutto, dicono che l’intervento di salvataggio delle banche venete, con la cessione a Intesa delle parti “good” accompagnata dalle garanzie e la creazione delle bad bank per gestire la cessione dei crediti deteriorati, va calcolato integralmente sia nel deficit sia nel debito. Il governo, invece, aveva stimato sul deficit un impatto nullo, «trattandosi di partite finanziarie» come spiegato a pagina 51 dell’ultima Nota di aggiornamento al Def, mentre aveva considerato nel debito solo il pagamento a Banca Intesa da 4,8 miliardi, ma non le garanzie.
È stata l’Istat a chiedere lumi all’Eurostat sulla correttezza dell’operazione, generando la risposta, negativa, di ieri: risposta che vale 4,7 miliardi di deficit e 11,2 miliardi di debito in più. Sul debito ricade infatti l’ombrello delle garanzie, fino a 6,4 miliardi potenziali, concesse a Intesa a copertura dei rischi sui crediti delle banche in liquidazione. Rischi che, spiega Eurostat, pendono sullo Stato, per cui le due bad bank rientrano a pieno titolo nel perimetro pubblico.
Questo significa, rispetto ai dati diffusi dall’Istat all’inizio di marzo, che il disavanzo 2017 pesa sul Pil per due-tre decimali in più e anche l’incidenza del debito sale più o meno della stessa misura. La traduzione nei numeri definitivi arriverà oggi dall’Istat, chiamato a ricalcolare il quadro di finanza pubblica anche per gli effetti, «modestissimi» secondo l’Istituto, sulle altre grandezze, Pil compreso. Al netto di queste variabili, il deficit 2017 dovrebbe attestarsi al 2,1-2,2%, e il debito al 131,8-138,9%; è soprattutto questo secondo dato a incidere direttamente anche sul 2018, perché il percorso di riduzione del debito parte da più lontano. Sono due i significati principali dei nuovi numeri: la correzione del deficit non sarà superiore a quella concordata con l’Europa, ma si fermerà al limite o poco sopra, e sul debito si continuerà a poter vantare solo una «stabilizzazione», o al massimo una mini-limatura da un decimale.
È presto per misurare le conseguenze pratiche della revisione, che senza dubbio però complica, almeno sulla carta, il percorso del Def e il confronto con l’Europa sull’ipotesi di manovra correttiva e sugli spazi per i programmi di politica economica. Era stato del resto lo stesso Tesoro, qualche settimana fa, a far filtrare che gli ultimi dati Istat, con il deficit all’1,9% e il debito al 131,5%, allontanavano il rischio che Bruxelles imponesse una nuova correzione. Non va dimenticato però che le calcolatrici europee si concentrano sulla dinamica del deficit strutturale, che non dovrebbe essere modificata dal peso di un’operazione una tantum come quella sulle banche. Su quest’ultimo punto, nodale, corre in aiuto anche un precedente, che risale al 9 ottobre 2013: all’epoca, l’allora commissario Ue agli affari monetari Olli Rehn scrisse ai ministri delle Finanze per spiegare che gli aiuti pubblici alle banche sarebbero stati considerati irrilevanti sul piano strutturale misurato dal Patto di Stabilità.
Ma destinata a scaldarsi è anche la discussione sul Def, al centro ieri di un nuovo incontro a Palazzo Chigi fra Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan. Il Documento di economia e finanza deve infatti ancora trovare una strada definitiva: solo alla luce dei risultati del primo giro di consultazioni al Quirinale, oggi e domani, si deciderà infatti se confermare la via del Documento solo tendenziale, a cui sta lavorando il governo uscente, o lasciare il dossier al nuovo Esecutivo. In ogni caso, mentre la scadenza del 10 aprile per la presentazione al Parlamento è sostanzialmente flessibile, l’intenzione resta quella di rispettare il termine del 30 aprile per l’invio alla commissione Ue.
Nella girandola delle cifre di ieri va però registrata anche una notizia sicuramente positiva, relativa al fabbisogno del settore statale, che si è fermato a 20,9 miliardi con una riduzione di 2,3 rispetto allo stesso mese dell’anno scorso (nel trimestre la flessione complessiva è di 2,6 miliardi).