L’appuntamento è per la fine dell’anno e tormenta almeno 180mila operai che sentono vacillare il proprio futuro. Mancano ancora nove mesi, certo, ma se osservato da un certo punto di vista il 2018 sta scorrendo vertiginosamente, anche perché nel frattempo l’esito delle elezioni ha complicato il quadro politico italiano. La scadenza è quella dei principali ammortizzatori sociali ridimensionati dal Jobs Act e il “punto di vista” allarmato è negli occhi di decine di migliaia di lavoratori delle fabbriche in crisi.
Un allarme delineato dai numeri e dal calendario. E rappresentato plasticamente da vicende come Embraco o Ideal Standard ( risolte solo in extremis), e da centinaia di altri casi in piena emergenza. Secondo i dati a febbraio 2018, i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo Economico sono 162 (per un totale di oltre 180mila lavoratori), la cifra più corposa dal 2012, all’interno della quale le conclusioni negative sono 6, le soluzioni definitive 36, i casi in monitoraggio 46 e 74 le crisi in corso. Nel biennio 2016-2017, in particolare, il ministero conta 62 vertenze concluse positivamente, 45 casi di siti rilanciati da nuovi investitori, 21 vicende senza soluzione. Negli ultimi sei anni i lavoratori a rischio sono cresciuti di 62mila unità ( 25mila in più solo tra il 2016 e il 2017), anche per l’esplosione di grandi crisi come Alitalia e Almaviva. Vanno aggiunte poi le centinaia di crisi aziendali “minori” (con le relative migliaia di posti a rischio) che non ce l’hanno fatta ad arrivare ai tavoli del Mise.
Il Jobs Act, oltre alla Naspi ( 24 mesi di sussidio di disoccupazione), prevede solo la cassa integrazione ordinaria o straordinaria, mentre scompare la mobilità. Ma anche la cassa riduce le causali e ridimensiona la copertura: non potrà superare i 24 mesi in un quinquennio o i 36 mesi se utilizzata per contratti di solidarietà. Incrociando le norme, il calendario delle scadenze e i numeri e la durata delle crisi, ecco spuntare un fine d’anno da brividi: in molti casi, infatti, non ci sarà più la possibilità di accedere alla cassa e anche per le aree di crisi industriale complessa (per intenderci i territori legati a grandi aziende come l’llva di Taranto, la ex- Lucchini di Piombino, l’Alcoa del Sulcis, la ex- Fiat di Termini Imerese) la proroga di un anno prevista dall’ultima legge di Stabilità scadrà a fine 2018.
Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, non a caso parla della necessità di rafforzare il versante del Jobs Act sugli ammortizzatori: « Vivremo trasformazioni continue dell’industria e servono strumenti con i quali, in queste transizioni, i lavoratori non siano lasciati a se stessi». Tesi confutata, sulle pagine di Repubblica da Tommaso Nannicini e Stefano Sacchi, che hanno collaborato al Jobs Act come consiglieri rispettivamente di palazzo Chigi e del ministero del Lavoro: « L’ipertrofia della cassa integrazione spiazzava la creazione di sussidi di disoccupazione degni di questo nome e di politiche attive del lavoro » , hanno scritto sottolineando l’importanza della Naspi, un’indennità che « se la sognano nella maggior parte dei Paesi europei» e che, oltre a coprire il 97% dei lavoratori dipendenti, dura fino a 24 mesi. Ma non si può nascondere che in Italia, rispetto al resto d’Europa, la situazione del mercato del lavoro giustifica meno ottimismo sull’efficacia delle politiche attive e dei sussidi collegati. « La permanenza delle crisi industriali è molto lunga — sottolinea Salvatore Barone, responsabile dei settori produttivi per la Cgil — quindi c’è bisogno di una tempistica e di una flessibilità più adeguate alla tutela dei lavoratori. Il Jobs Act va revisionato in questo senso».
Nell’attesa, buona parte dell’Italia delle fabbriche continua a tremare. È la mappa del declino manifatturiero del Paese: nel 2017 i primi sette settori maggiormente interessati dalla crisi sono stati siderurgia, elettrodomestici, telecomunicazioni, servizi, call center, microelettronica, e Ict, con 105.665 dipendenti coinvolti. Il settore auto è uscito dalla “leadership” della crisi nel 2015, come l’edilizia e in coincidenza dell’ingresso del comparto dei call center. Ormai sistemici, invece, i problemi della siderurgia e del settore elettrodomestici. « Nel 2017 si è confermata la tendenza al miglioramento economico e produttivo — dice Giancarlo Battistelli, responsabile dell’Osservatorio sulla crisi di “ Lavoro& Welfare” — ma siamo un Paese ancora in difficoltà. Nelle ore di cassa integrazione straordinaria autorizzate, ad esempio, una quota quasi totalitaria riguarda i contratti di solidarietà e, se la ripresa economica non sarà sostenuta, alla scadenza del periodo emergeranno inevitabilmente gli esuberi e i lavoratori coinvolti si ritroveranno disoccupati».