Emanuele Padovani e Francesco Bergamaschi, rispettivamente docenti di amministrazione pubblica e sistemi informatici all’Università di Bologna, hanno appena pubblicato un lavoro che getta una luce piuttosto cruda sull’efficienza dei comuni italiani. Il loro metodo è innovativo: anziché contare il tempo che passa dalla presentazione di una fattura al giorno del pagamento, Padovani e Bergamaschi fanno ricorso alla banca dati internazionale di Bureau van Dijk (gruppo Moody’s) per una stima complessiva che valuta spesa corrente, impegni di spesa e i residui passivi, ovvero quanto resta da pagare a ciascuna amministrazione. È il metodo utilizzato di solito nell’analisi di bilancio delle imprese da parte delle banche. Persino alcuni grandi fornitori dello Stato vi fanno ricorso per stimare il rischio di liquidità al quale sono esposti.
Ne emerge che l’Italia si è fermata: i tempi di pagamento dei comuni, sempre troppo alti, nella maggioranza dei casi sono tornati a crescere dopo i primi progressi all’uscita della Grande recessione. Dall’analisi di Padovani e Bergamaschi emerge però anche un altro dato che potrebbe far riflettere questo neonato Parlamento privo ancora di maggioranze: in un Paese politicamente diviso, la qualità delle amministrazioni cittadine è legata più spesso al grado di spirito civico presente sul territorio che al partito di governo in ogni località. In sostanza, sembra contare il senso di comunità che prevale nei singoli comuni, più che la cultura politica di parte di ciascuna giunta comunali.
La retromarcia
Non è un’analisi senza conseguenze. A dicembre l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia dell’Unione europea perché i tempi di pagamento della pubblica amministrazione restano ancora troppo superiori alle norme. Per la legislazione europea non dovrebbero superare i trenta giorni, ma per molte amministrazioni italiane questa resta un’utopia. Adesso i rischi per il bilancio pubblico sono alti, in caso di condanna in Corte Ue, perché lo Stato a quel punto dovrebbe pagare interessi di mora dell’8% annuo su ritardi nei saldi per decine di miliardi di euro.
È vero che lo studio di Padovani e Bergamaschi, in termini legali, non fa testo: per la procedura europea valgono solo i saldi ai fornitori di beni e servizi, mentre i due studiosi bolognesi includono anche i pagamenti a altri enti pubblici, alle società partecipate e persino al personale. Ma quest’ultimo fattore dovrebbe in teoria contribuire ad abbassare le medie dei ritardi, invece i risultati sono una sorpresa negativa: ancora nel 2016 i comuni italiani pagavano in media a 95 giorni di distanza, dunque con oltre due mesi di ritardo sui termini di legge. Ed è del tutto improbabile che nell’ultimo anno (per il quale mancano ancora i dati) il quadro sia migliorato molto, perché l’evoluzione risulta in senso opposto: i tempi tornano ad allungarsi.
Nel 2012 ed ancor più nel 2013 la situazione per gli 8 mila comuni d’Italiaera drammatica, con ritardi in media nazionale a 135 giorni (248 medi in Calabria, con un record di 668 a Pomezia in provincia di Roma). Da allora i successivi governi, sostenuti dalla Ragioneria dello Stato, hanno cercato sbloccare lo stallo con notevoli forniture di liquidità. E i primi risultati si sono visti: dal 2013 al 2015 i tempi medi di pagamento dei comuni si accorciano di 44 giorni, meno 32,6%. Ma da allora, come se i comuni fossero esausti per lo sforzo già compiuto, la tendenza si inverte. L’anno dopo, il 2016, in tredici regioni italiane i tempi medi di pagamento delle amministrazione comunali ricominciano a crescere (del 19% in Abruzzo, ma anche del 5% in Lombardia e del 7% in Umbria). I progressi continuano solo nelle sue ragioni a statuto speciale del Nord-Est, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, e in Basilicata forse grazie al settore dell’energia rinnovabile e tradizionale.
Di certo anche le città con i tempi più rapidi restano sopra la soglia di 30 giorni prescritta dalla legge europea per i versamenti ai fornitori: Cuneo e Bolzano scendono a 44 giorni, Ferrara e Ragusa a 47 (la città siciliana partendo da lontanissimo, 277 giorni). Ci sono poi le giunte che, malgrado tutto, fra il 2012 e il 2016 riescono a peggiorare enormemente: non solo Afragola (in provincia di Napoli) che allunga da 277 a 464 giorni; anche Treviso va male, passando da 51 a 84 giorni; Benevento sale da 150 a 245 e la milanese Sesto San Giovanni allunga il suo ritardo da 102 a 142 giorni.
I partiti e i tempi
Risulta evidente da questo breve catalogo che il partito di governo locale non è il fattore che permette di prevedere il grado di efficenza a colpo sicuro: Movimento 5 Stelle, centrodestra e centrosinistra presentano tutti sia buoni che pessimi risultati. Contano piuttosto il capitale sociale, il senso civico e lo spirito di comunità diffuso in ogni singolo territorio, questo sì: il Trentino Alto-Adige e il Veneto, aree dense di associazioni culturali e produttive e di vita aggregata, fanno meglio della Lombardia, del Piemonte o della Toscana (dove questi fattori sono più attenuati) e decisamente meglio della Calabria, della Campania o del Lazio (dove spesso l’associazionismo è debole o assente).
Contano però anche le dimensioni, perché i comuni sopra i 50 mila abitanti a Nord-Est o al Centro risultano più efficienti e riescono ad accorciare i propri tempi di pagamento più delle piccole realtà. Commentano Padovani e Bergamaschi: «I comuni di piccolissime dimensioni, sotto i tremila abitanti, hanno migliorato in misura meno marcata degli altri e continuano ad avere performance peggiori rispetto alla media delle aree nelle quali si trovano». Varie le cause: difficoltà finanziarie o mancanza di personale con la preparazione adeguata. Questo problema dei piccoli centri, notano i due studiosi, «può portare a situazioni di stress finanziario con varie possibili soluzioni: tagli drastici ai servizi, fusione con altri comuni, richiesta di accesso alle procedure di riequilibrio o anche alla dichiarazione di dissesto». In Italia ci siamo raccontati per molti anni che piccolo e particolarista era bello, in tutte le sue declinazioni.
Ma se mai tornerà a prendere forma un’agenda di riforme in questo Paese, potrebbe ripartire proprio da qua: mettendo in dubbio questa rassicurante verità.