Se i rapporti tra Unione Europea e Russia si fanno sempre più tesi, a Bruxelles non migliora neppure il clima nei confronti degli Stati Uniti. «Il Consiglio europeo si rammarica della decisione americana di imporre dazi sull’acciaio e l’alluminio», si legge in un comunicato pubblicato ieri. Nella notte tra giovedì e venerdì, l’amministrazione Trump ha annunciato nuove tariffe commerciali a tappeto, esentando alcuni Paesi tra cui quelli della Ue, ma solo fino al 1° maggio.
Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha notato che la notizia è «buona e cattiva». Buona perché l’Unione è stata considerata da Washington un blocco unico. Cattiva perché l’esonero è solo temporaneo. «Abbiamo cinque settimane di negoziati dinanzi a noi. Saremo determinati», ha detto l’ex premier lussemburghese. Saranno negoziati «con una pistola alla tempia», ha osservato, chiaramente infastidito, il premier belga Charles Michel.
Netto anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: «Consideriamo un errore la decisione e ce ne rammarichiamo, pensiamo sia sbagliata. Stiamo parlando di argomenti che certamente non si risolvono in un periodo breve. Pensiamo che l’introduzione di dazi e barriere sia un rischio e possa incrinare la congiuntura economica».
Si sta facendo strada a Bruxelles l’idea che l’Unione Europea e gli Stati Uniti mettano sul tavolo i diversi nodi commerciali tra i due blocchi per tentare di risolverli, uno a uno. Basteranno cinque settimane per trovare un accordo che induca l’amministrazione Trump a rendere permanente l’esonero dai nuovi dazi commerciali su acciaio e alluminio? Per Juncker la tempistica rischia di «non essere realistica» tanto è «ampio lo spettro» delle questioni aperte.
Da parte sua, la Cina ha reagito con un misto di rabbia e cautela alla decisione di Donald Trump di imporre dazi nelle prossime settimane su 60 miliardi di dollari di importazioni da Pechino, accusata di pratiche commerciali scorrette e furto di proprietà intellettuale. Il governo ha preparato contromisure su 3 miliardi di dollari di import dagli Usa e i portavoce del ministero del Commercio hanno denunciato l’azione Usa come «un terribile precedente» di «protezionismo unilaterale», avvisando che «se qualcuno dichiara una guerra commerciale alla Cina, la combatteremo fino in fondo». Ma la modesta cifra iniziale della rappresaglia, e gli appelli a Washington affinché eviti escalation, svelano la prudenza di Pechino: «La Cina – ha aggiunto il ministero del Commercio – spera che gli Stati Uniti si ritirino dall’abisso di un conflitto commerciale, che prendano decisioni prudenti e non trascinino le relazioni economiche bilaterali verso una situazione pericolosa».
La cautela cinese – e il fatto che qualunque offensiva americana sarà ancora soggetta a oltre un mese di consultazioni interne – è parsa attenuare senza poter però esorcizzare le paure sollevate sui mercati dalla prospettiva di scontri aperti tra le due principali economie al mondo. A Wall Street gli indici azionari, reduci dalle forti perdite di giovedì, hanno oscillato ieri in modo più contenuto, tra rialzi e flessioni. In Asia, le Borse avevano invece sofferto di più, con cali del 4,5% del Nikkei giapponese, del 3,4% dello Shanghai Composite Index e del 2,45% dello Hang Seng di Hong Kong.
La natura attendista della replica cinese è evidente anche nella scelta dei prodotti nella lista di ritorsioni: tra le 128 categorie messe nel mirino mancano per il momento cruciali prodotti chiave, da sorgo e soia nell’agricoltura, ai velivoli Boeing nell’industria. Ci sono invece prodotti più marginali, da tubi in acciaio a frutta e vino. I dazi sono inoltre previsti in due tempi, al 15% su un primo arco di prodotti, seguiti se necessario da tariffe del 25% su carne di maiale e alluminio riciclato. La lista preliminare americana per i dazi del 25% alla Cina, non diffusa ufficialmente, è ben più ampia – copre 1.300 categorie di import da calzature e abbigliamento a elettronica di consumo, fino all’hi-tech, quali componenti per il settore aerospaziale, information technology e la comunicazione, macchinari.
Dall’elenco dovrà emergere una selezione di obiettivi, che sarà resa nota entro 15 giorni e ammonti ai 60 miliardi di import preannunciati. O forse a 50 miliardi, il 10% dell’import totale cinese negli Usa, stando a fonti dell’amministrazione che indicano come Trump potrebbe aver usato una cifra imprecisa. A quel punto ci saranno ulteriori 30 giorni di “commenti” sulle misure da parte delle aziende interessate prima di compiere il passo verso vere e proprie azioni.