Al termine di una battaglia legale durata più di tre anni, ieri sera la Corte Costituzionale ha rigettato tutte le eccezioni di legittimità sollevate dal Consiglio di Stato a dicembre 2017 sul ricorso presentato dalla Banca Popolare di Sondrio e dalla Banca Popolare di Bari.
Al centro della vicenda il decreto, poi trasformato in legge, del governo Renzi, che il 20 gennaio 2015 impose la riforma del credito popolare, imponendo la trasformazione in società per azioni di tutte le banche che, basandosi sul principio del voto capitario, avevano superato attivi di bilancio di otto miliardi di euro. In Italia erano una decina.
La decisione della Corte Costituzionale, che boccia completamente il ricorso, dovrebbe quindi portare anche le due banche ricorrenti, Sondrio e Bari, verso la trasformazione della forma sociale. Per di più in tempi ragionevolmente brevi, probabilmente entro l’anno. Neppure il paventato punto sul diritto di recesso, ha trovato riscontro. Infatti, la corte ha stabilito che «non lede il diritto di proprietà» quel passaggio della legge che, «attuando le direttive europee sui requisiti prudenziali, prevede la possibilità per le banche di introdurre limitazioni al rimborso in caso di recesso del socio».
Sul punto, martedì, i legali della Banca d’Italia, sentiti in udienza, avevano evidenziato come nel bilanciamento di interessi — da una parte quelli dei soci, intenzionati a uscire dal capitale di una società sul punto di divenire diversa da quella in cui avevano investito e dall’altra quelli della banca — l’elemento dirimente è la tenuta del patrimonio di vigilanza dell’istituto di credito che «non può essere messo a rischio». A Sondrio sembra dunque sul punto di finire una storia ultrasecolare. Ma quella valtellinese è una banca già quotata. Ben più complessa la condizione a Bari.