Per il Nord si tratta quasi di un ritorno a casa, la vittoria del centrodestra nella grande maggioranza dei collegi uninominali ci riporta ai tempi del forzaleghismo e dell’egemonia sulla società settentrionale della trimurti Berlusconi-Bossi-Tremonti. Ma ci sono almeno due novità di cui tener conto già a poche ore dalla chiusura dei seggi: a) non sappiamo se la vittoria al Settentrione è per il centrodestra una sorta di arrocco per arginare il fenomeno Cinque Stelle oppure, come in passato diventa la golden share per governare il Paese; b) mentre la volta precedente la gerarchia tra i due principali blocchi della coalizione era a favore degli azzurri, stavolta il successo di Matteo Salvini fa saltare il vecchio schema e propone una nuova leadership. Se ci astraiamo un momento dalla giornata elettorale e guardiamo all’economia reale è evidente che la ripresa economica al Nord si fa sentire, le autostrade sono tornate ad essere piene di Tir, il traffico ai valichi cresce a ritmi elevati, spuntano aziende ad alta redditività di cui non si conosceva neanche il nome e i comunicati delle associazioni industriali parlano di produzione industriale ed export che volano.
È anche vero che il Pil aggiuntivo non si spalma omogeneamente su tutte le zone — persino al Nord ci sono territori rimasti indietro, quelli che l’ Economist parlando degli Usa chiama i left behind — e l’occupazione cresce per lo più con contratti a termine. In più le piccole e medie imprese che pure sono uscite «vive» dalla crisi non vedono davanti a sé un gran futuro: il credito bancario non sarà più quello di una volta e nelle produzioni a basso valore aggiunto rimanere sul mercato è un miracolo che non è detto che si ripeta. Così la sensazione è che i voti dei ceti medi produttivi e quelli delle periferie del rancore riescano a sommarsi grazie a un’agenda del centrodestra (riduzione delle tasse e controllo dell’immigrazione) facile da capire e da comunicare. Dopo il clamoroso strappo di Roberto Maroni si poteva pensare a frizioni tra i due spezzoni dell’elettorato e invece la Lega è ancora percepita come il miglior sindacato del territorio e votata per questo motivo. Soprattutto in Lombardia e nel Veneto in virtù anche di un giudizio positivo sull’operato delle giunte regionali. Forza Italia incontra sempre i favori di una borghesia minuta «del fare», presente nell’impresa e nelle professioni, ma si può intuire una robusta presenza leghista tra il popolo delle partite Iva. Si spiega anche così come la famosa frase-gaffe di Attilio Fontana sulla «razza bianca» non pare aver allontanato il voto moderato dal centrodestra, caso mai può avere attratto nuovi consensi pescati nell’estrema destra o nell’astensionismo. A riprova di come sia difficile al Nord tentare di scindere — con procedure da laboratorio politico — i due elettorati, quello di Berlusconi e quello di Salvini. Ai tempi del ’94 la narrazione in stile Bossi aveva come bersaglio l’immigrazione dei meridionali al Nord, allora era ancora materia viva oggi ci sembra una parodia dei film di Claudio Bisio. Salvini da figlio del suo tempo ha spostato il mirino su un altro tipo di immigrazione quella dall’Africa e dal Medio Oriente. E se è vero che non abbiamo avuto al Nord una campagna elettorale costellata di episodi di xenofobia (il più drammatico e crudo si è verificato a Macerata), tenere il punto su ordine e sicurezza premia il nuovo corso leghista, gli permette di rastrellare il voto della paura e di poter vincere il derby con Forza Italia. Ed è questa combinazione tra tradizione e discontinuità che sembra per ora aver dato una marcia in più al centrodestra, almeno al Nord.