Se in questo momento chiudessimo gli occhi, vedremmo un solo colore: il nero. L’istante dopo la riapertura, faremmo fatica a contarli. Il colore rappresenta la vita. Già nel 1948 il filosofo Gaston Bachelard sosteneva che il ventesimo secolo avrebbe avuto un unico riferimento: le immagini, e i suoi colori. A vedere il successo di Instagram, sembrerebbe avesse proprio ragione. Le immagini sono facili da decodificare. Immediatamente ti fai un’idea. Non è detto che l’interpretazione di quell’immagine sia uguale per tutti quelli che la osservano. Dipende da tanti fattori, culturali in primis. Per il filosofo francese, per tanti anni postino prima di approdare come professore alla Sorbona di Parigi, l’immagine è un ostacolo alla ragione. Non che le immagini siano in grado di far riflettere di meno rispetto ad uno scritto. Pablo Picasso diceva che il disegno e il colore erano le sue armi per penetrare “sempre più a fondo nella coscienza del mondo e degli uomini”. Certamente, però, di fronte all’immagine si arriva subito ad una conclusione. Si eludono tutti i passaggi, la razionalità rischia di dissolversi. Le stese parole nella nostra testa si traducono in immagini. Qui entra in gioco il regno della fantasia. Gli scrittori sono i più abili a trovare le parole giuste per descrivere una situazione: Tolkien e Simenon su tutti, per me. Lì sta tutto il loro successo: inserire una sequenza di parole che ci portino a costruire una storia piena di immagini. E’ un processo veloce, e allo stesso tempo lento. Per questo motivo le traduzioni cinematografiche di alcuni capolavori letterari non rispettano mai ciò che nella nostra testa era precedentemente avvenuto. Un pittore arriva subito all’immagine attraverso il colore. Per uno scrittore questo processo è mediato attraverso la parola. Per una società che vive di immediatezza, l’immagine non può che essere più facile da utilizzare. E il colore è l’asse portante della costruzione delle immagini. Costruire un’immagine con un’unica tonalità di colori, rischia di non essere capita, monotona; anche se il bianco ed il nero mantengono un loro fascino descrittivo
Perché Van Gogh ha così tanto successo
Attorno al significato dei colori gira “Cromorama” di Riccardo Falcinelli. Un libro che prima di tutto è un oggetto di design per la sua forma e i suoi contenuti. Parole e immagini si uniscono con un rimando sorprendente: il risultato è un perfetto gioco di incastri. Falcinelli vuole – di proposito – intersecare un poderoso apparato figurativo con una serie di considerazioni che spaziano da analisi storiche a valutazioni socio-economiche. I colori non sono mai stati sempre uguali lungo la storia dell’uomo. Anche qui, la rivoluzione scientifica da una parte e la rivoluzione industriale dall’altra, hanno trasformato sia l’essenza del colore che la sua percezione. Per più di trentacinque millenni i colori sono stati ricavati da tre diverse fonti: minerale; animale; vegetale. Ogni colore, che si ricavava da una di queste tre fonti, era diverso l’uno dall’altro. La standardizzazione non poteva esistere. Nel 1856 William Henry Perkin stava cercando di sintetizzare il chinino. Come tutte le scoperte – per puro caso -, crea una sostanza dal colore cupo che se sciolto nell’alcool produce un effetto violaceo. Da qui gli nasce l’idea di fare un colorante per i tessuti che resiste alla luce, allo sfregamento e ai lavaggi. Pochi anni dopo i tintori di Lione, in Francia, specializzati nella produzione di panni di seta, sperimentano il nuovo colorante sintetico e producono il viola di anilina. Lo stesso faranno alcune ditte tedesche. A quel punto il nuovo colore si diffonde nei centri della moda europea. Sono anni di grandi innovazioni. Nel 1861 James Maxwell produce una foto a colori e i primi a giovarne sono gli editori di moda. Nel 1906 debutta la rivista Vogue: il colore la fa da padrone a dispetto dei concorrenti. Il successo della rivista nasce soprattutto per questo. Ma l’anno decisivo per le tecnologie del colore è il 1935: la stampa in quadricromia diventa una realtà. Spesso ci chiediamo perché i quadri degli impressionisti abbiano così tanto successo. Le ragioni sono diverse. Il colore conta molto e altrettanto l’industrializzazione dello stesso. Il costo del colore con la sua standardizzazione si abbassa, questo permette anche a pittori squattrinati come Van Gogh di farne un uso abbondante, materico si direbbe. La scoperta della quadricromia permette una riproduzione fedele del dipinto di questi pittori. Le tinte sgargianti emergono agli occhi di tutti e sono facili da decodificare. E’ un sistema di stampa che funziona meno bene con le tinte pastello perché più i colori si mischiano fra loro, diventano più opachi. Nasce una selezione naturale dell’arte: la pittura barocca ne esce penalizzata rispetto alla pittura degli impressionisti. Merito anche della quadricromia, il successo di Van Gogh.
La regolarità ci piace
L’industrializzazione produce serialità tanto che uno come Andy Warhol, in uno dei suoi più famosi lavori, prende una scatola di cartone che contiene spugnette insaponate “brillo”, e le rifà quasi identiche. Dalla serialità passa all’unicità. Quel quadro diventa un pezzo unico partendo da un pezzo uno uguale all’altro. Le inesattezze di Warhol diventano arte, l’imprecisione diventa poesia. Warhol sembra dirci che anche nella nostra società tutta uguale, c’è spazio per la fantasia, la creatività, per segnali di rottura rispetto alla linea continua. Il libro di Falcinelli non è solo per adepti del design o delle arti pittoriche. E’ un’analisi approfondita sulle nostre percezioni e su quanto queste siano diventate scontate per noi:
“Disporre di tante sensazioni, poter sintetizzare in laboratorio un numero vastissimo di tinte, poter tingere di qualsiasi colore uno stesso paio di pantaloni, di sedie o di forchette ci ha permesso di maneggiare le percezioni senza precedenti, cioè di pensare i colori in astratto a prescindere da oggetti precisi. In certo senso è l’industria che ha contribuito a staccare per sempre il blu dal mare, poiché è solo quando il blu diventa una cosa in sé – come un pigmento o una tintura, a prescindere da percezioni di blu – che possiamo finalmente nominarlo. Non è cambiato dunque il nostro occhio, ma il nostro sguardo.”
Le mele industriali
Non si tratta di nevrosi, ma di una circostanza storica. La creazione del colore industriale, e della sua trasmissibilità, tende a normare la nostra vita, che lo vogliamo o meno. Anche quando entriamo in un supermercato – ci dice Falcinelli – tendiamo a comperare un tipo di mele. Una cosa che è naturale, in quanto nata da una pianta, assume i connotati di un oggetto industriale. Questo perché la nostra scelta cadrà su mele che hanno forme uguali e colori simili. Non a caso le mele prima di finire sul banco di un supermercato vengono fatte passare dentro un anello che ne verifica la misura media. In quello che sembra un gesto che ci avvicina alla natura si annida una tendenza a standardizzare: la regolarità, la purezza sono qualità essenziali del nostro vivere moderno. Dalle amicizie alle antipatie, tutto è simile. Come se fossimo entrati in una società specchio che rifrange costantemente la nostra immagine.
Piace quello che alla gente piace
Ci piace preferire quello che anche gli altri scelgono, quello che è più uguale agli altri. Su questo la moda ne ha fatto un business. Il successo degli influencers, nel mondo dei social, lo sta a dimostrare: persone normali rendono speciali alcuni oggetti in quanto hanno un seguito. Il consenso diventa il punto di congiunzione tra il prodotto e le persone. Tanto che il prodotto perde il suo valore intrinseco per assumere un suo significato. Da oggetto, l’abito, diventa soggetto. Da cosa utile a coprirsi, produce autostima. Il singolo comportamento, apparentemente personale, diventa frutto di un processo di imitazione che ha una costruzione industriale. Spesso non ci spieghiamo perché alcune cose stilisticamente brutte abbiano successo. Dopo qualche anno siamo molto più inclini a giudicare quello che consideravamo una bruttezza in passato, una normalità e, frequentemente, comincia a piacerci. Quell’oggetto entra nella nostra quotidianità e inizia a vivere nella nostra fantasia. Il passaggio successivo – il diventare piacevole anche per noi – è automatico e indistinguibile. L’occhio, e tutto quello che percepisce, non produce dentro di noi una mera oggettivazione del colore e delle forme; l’occhio è uno strumento che al massimo può filtrare, non separare, ciò che la cultura di quel momento ci propone.
Titolo: Cromorama
Autore: Riccardo Falcinelli
Editore: Einaudi
470 pp; 24 Euro